#Europee2019 - Con chi stanno i popolari?

Vorrei rassicurare la senatrice Conzatti: non sono mai stato fidanzato con la Svp. Mi sono fidanzato una volta sola, con mia moglie, quarant'anni fa. Con la Svp (e con il Patt) noi del Pd siamo solo amici, grandi amici. Siamo stati, a lungo, alleati: a Bolzano, a Trento, in Regione, a Roma e anche a Bruxelles. Con risultati straordinariamente positivi per la nostra autonomia speciale.
Giorgio Tonini, 16 maggio 2019

 


Per il resto, la senatrice Conzatti replica al mio intervento su "l'Adige" di sabato scorso, confermando quel che, sommessamente, mi ero permesso di dire: chi vota la stella alpina, vota anche Forza Italia. Ho scritto sabato e ripeto oggi che è ovviamente del tutto legittimo farlo, basta saperlo. Cercando di spiegare come funziona l'apparentamento tra liste, regolato dalla legge elettorale in vigore, non mi pare proprio di aver tentato di confondere gli elettori, ma semmai di aver contribuito ad informarli meglio, in modo che il loro voto, qualunque esso sia, possa essere un voto consapevole.
Ma la senatrice Conzatti mi invita a entrare nel merito della scelta che siamo chiamati a fare tra pochi giorni: Tonini non può non sapere, scrive, che il 26 maggio noi tutti siamo chiamati a votare per comporre la rappresentanza dei grandi partiti politici europei. Non posso non saperlo e infatti lo so e accetto volentieri l'invito a discuterne. La senatrice Conzatti ha spiegato la scelta di Forza Italia di sostenere convintamente il Ppe. Lo stesso aveva fatto per la Svp l'on. Dorfmann. Si tratta di una scelta che non condivido, ma che rispetto ed anzi apprezzo. Il Ppe è infatti una grande famiglia politica europea, guidata dalla Cdu-Csu tedesca, di certa e netta ispirazione europeista. Mi permetto semmai di osservare, alla mia gentile interlocutrice, che se questo orientamento europeista fosse stato più chiaramente espresso dai governi guidati da Silvio Berlusconi, l'Italia si sarebbe risparmiata un sacco di guai.
Comunque, meglio tardi che mai. Aggiungo che è altamente probabile che i popolari si confermeranno il gruppo di maggioranza relativa in seno al parlamento di Strasburgo e dunque, in forza dell'accordo politico stabilito tra i maggiori partiti europei, avranno il diritto di proporre il nome del prossimo presidente della Commissione.
Il problema è che i popolari europei non hanno chiarito, né sembra vogliano farlo prima del voto, a quali altre forze politiche europee intendano rivolgersi per costruire, attorno al loro candidato, la necessaria maggioranza parlamentare. Non è chiaro cioè, se intendano guardare ai socialisti e democratici (tra i quali c'è il Pd) e ai liberali (con i quali si è schierato il partito del presidente francese Macron), o invece ai conservatori (guidati dai Tory inglesi, primi responsabili del disastro Brexit), se non addirittura ad una parte almeno dei sovranisti di destra, guidati da Salvini e dalla signora Le Pen.
Non è un problema di poco conto. A seconda della scelta che verrà fatta, avremo una Commissione impegnata a guidare un processo di riforma della governance europea di segno federalista, o invece una controriforma di stampo euroscettico se non antieuropeo. Può darsi che non chiarire questo punto consenta al Ppe di massimizzare i suoi consensi elettorali, sommando gli europeisti come Dorfmann agli antieuropeisti del Partito nazionalista e sovranista del presidente ungherese Orban. Quasi come la coalizione alla quale la senatrice Conzatti deve la sua elezione, che aveva messo insieme Forza Italia (ma non la Svp e il Patt) con i sovranisti antieuropei della Lega di Salvini e dei FdI della Meloni. Una coalizione che Forza Italia si ostina a riproporre per il governo del nostro paese, considerando evidentemente marginali le differenze sull'idea di Europa. Ma è difficile credere alle professioni di europeismo da parte di una forza politica che non vede l'ora di allearsi, per di più in posizione subalterna, con i sovranisti antieuropei.
La storia ci insegna che queste alleanze ambigue e spurie, magari efficaci sul piano elettorale, portano poi alla paralisi. E di tutto ha bisogno l'Europa, tranne che di una nuova legislatura paralizzata dalle incertezze e dalle ambiguità di quel gigante immobile che rischia di essere il Ppe. Per questo l'Europa ha bisogno di un parlamento che veda una forte rappresentanza di democratici socialisti, gli unici che, insieme ai liberali, possono credibilmente, in dialogo e collaborazione coi popolari, riaprire la prospettiva di un'Europa più forte e più democratica.