Tra i provvedimenti messi in cantiere dal governo gialloverde, ce n’è uno che, pur essendo stato segnalato da più parti come degno di attenzione, non ha occupato le prime pagine dei quotidiani e dei media in generale. Forse proprio perché non si tratta di una notizia in grado di destare un vasto clamore popolare e, nell’epoca del “governo del popolo” e del peso dei “like”, ciò che non è “popular” rischia di non essere nemmeno importante.
Giuliano Muzio, "Trentino", 17 aprile 2019
Mi riferisco alla dichiarata volontà del governo e del Ministero dello Sviluppo Economico in particolare di non rinnovare la Convenzione con Radio Radicale. Nell’ambito di una misura di più ampia portata, quella del taglio al Fondo per l’editoria, che rischia di mettere in discussione la sopravvivenza di numerose testate locali e cosiddette “minori” (per esempio Foglio e Manifesto), viene colpito anche il servizio che Radio Radicale svolge nell’interesse pubblico, con la trasmissione in diretta di sedute parlamentari, di incontri, convegni, appuntamenti istituzionali di vario tipo e di varia natura, di cronaca dalle aule giudiziarie, senza distinzioni di appartenenza a questo o a quel partito, a questa o a quella ideologia.
Per chi, come me, ha iniziato a muovere i primi passi in politica tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta dello scorso secolo, quando le “radio libere” costituivano spesso l’unica modalità per seguire in diretta il dibattito tra le forze politiche, Radio Radicale è stata una presenza costante. Che si trattasse di seguire appuntamenti di forze politiche vicine o meno vicine, di sentire la voce di commentatori amici o meno amici, di ascoltare testimonianze di angoli lontani nel mondo o sotto casa propria. Mi ha insegnato molto. In particolare a confrontarmi con chi la pensava diversamente da me. Ho imparato a seguire e, se non ad amare, quanto meno a capire, anche le battaglie con le quali non ero d’accordo, a farlo grazie alle cronache che mi arrivavano senza filtri e senza veline. Ci sono state molte battaglie radicali che non ho condiviso. Tuttavia non ho mai pensato di spegnere la radio, ma ho continuato ad ascoltare. E forse, avendo ascoltato, credo di poter dire che sono un pochino migliore di come avrei potuto essere non ascoltando.
Così, anno dopo anno, Radio Radicale è diventata parte della storia del nostro paese. Ha costruito un archivio che è un piccolo patrimonio di storia patria e che sarebbe sciagurato disperdere nel nulla. Ha insegnato non solo a me, ma credo anche a molti altri che è importante “conoscere per deliberare”, come diceva un importante pensatore del Novecento e uno dei più grandi Presidenti della Repubblica, Luigi Einaudi.
Per come ha costruito negli anni la sua storia, Radio Radicale non può che essere finanziata dal pubblico, che realizza un investimento a beneficio dei cittadini, tutelando il loro diritto a essere informati liberamente. Non esiste un soggetto di mercato che possa offrire quello che oggi questa radio offre ed è chiaro che far cessare questo finanziamento significa (consapevolmente o meno) provocarne la chiusura.
Il governo nazionale ha un’occasione. Dimostrare che chi ritiene che la scelta di interrompere la Convenzione non sia dettata da ragioni finanziarie, ma dalla volontà di chiudere una voce libera, si sta sbagliando. Che il governo gialloverde non ha una strategia di controllo dell’informazione che vuole ostacolare chi canta fuori dal coro. Basta rifinanziare la Convenzione e permettere a Radio Radicale di continuare a trasmettere.
Credo sia quindi importante oggi fare un appello a coloro che hanno il potere di modificare questa decisione. Non negate una storia che è anche la vostra storia. Permettete che chi oggi si avvicina alla politica (e ahimè oggi sono molti di meno di quelli che si avvicinavano qualche tempo fa) possa farlo anche grazie alla voce di una radio che non ha mai avuto padroni. Permettete ai vostri figli di farsi un’opinione senza filtri, sicuramente loro ci restituiranno un paese migliore di quello che gli abbiamo lasciato.