Come una sorta di araba fenice, ciclicamente ritornano le segnalazioni circa i rischi connessi alla presenza attiva, anche sul territorio regionale, di gruppi estremistici di matrice nazifascista da un lato ed anarco-insurrezionalista dall’altro, come evidenzia il rapporto annuale che i Servizi di Sicurezza redigono per il Parlamento.
Luca Zeni, "Trentino", 10 marzo 2019
Se in Trentino il problema è sintetizzabile nelle insidiose attività di certe militanze anarchiche e dell’ecologismo più estremista ed irrazionale, in Alto Adige/Südtirol è invece la deriva xenofoba, razzista ed antisemita del radicalismo della destra estrema europea che preoccupa, anche per il costante rafforzamento dei collegamenti politici ed operativi fra i circoli neonazisti tedeschi e le reti skinhead italiane.
Nulla di nuovo, si potrebbe dire, ripensando ai collegamenti fra il terrorismo sudtirolese del “Befreiungsausschuss Südtirol” e le trame nere dei circoli padovani e lombardi.
In realtà adesso l’intreccio sembra farsi ogni giorno più fitto e più oscuro, con lo scopo, fra gli altri, anche di dar corpo ad un soggetto di ispirazione nazifascista transnazionale, filorusso e nemico dell’Unione Europea.
Se così stanno le cose, è evidente che, dentro le necessarie analisi politiche e sociali, non si possono più ridurre tali fenomeni ad eventi marginali e di folklore politico, ma diventa necessario affrontare simili questioni esaminando il terreno di coltura entro il quale esse fermentano.
Da un lato è ormai indifferibile investire anzitutto e con maggiore razionalità e sistematicità sul piano culturale e formativo, attivando dentro le scuole percorsi costanti e continui di formazione/informazione, non limitandosi quindi ai riti delle rimembranze ed agli appuntamenti canonici con il “Giorno della Memoria”.
Dall’altro lato è opportuno indagare in profondità le ragioni di un disagio sociale ed individuale che ferisce verticalmente le nostre società, un disagio che non può più essere derubricato a vandalismo giovanile e che va affrontato in rete dagli agenti formatori e cioè famiglia, scuola, associazioni e gruppi amicali.
I messaggi estremi trovano radicamento dentro i bassi tassi di scolarizzazione e di cultura, dove maggiore è la paura del futuro e dove è più agevole spingere l’acceleratore ideologico sull’individuazione di un nemico “comunque e qualunque”. Ma al contempo altre ed antagoniste forme di protesta violenta attraggono soggetti provenienti anche da fasce sociali medio-alte e bisognosi di esprimere un rifiuto globale delle loro origini attraverso linguaggi privi di contraddittorio alcuno e spesso suggeritori di atti di spregio e sfregio del bene pubblico.
A fronte di questo scenario, va da sé che per i ragazzi l’annuale viaggio ad Auschwitz, per quanto meritorio ed importante, non è più sufficiente.
Le giovani generazioni pongono oggi domande alle quali non può bastare la risposta manichea che divide grossolanamente bene e male. Come papà, oltre che raccontare attraverso la storia gli abissi a cui l’uomo può arrivare, insisto nello spiegare che sono i piccoli atti e linguaggi del quotidiano, qui ed ora, a indirizzare noi stessi come singoli e come comunità; è il reiterarsi continuo di battute, allusioni, mancanza di rispetto per l’altro che alimenta, nel tempo, le culture del rifiuto e della negazione della storia.
Oggi qualsiasi politica che non voglia essere fiancheggiatrice interessata di simili comportamenti – e ciò vale a destra come a sinistra – deve impegnarsi in uno sforzo non momentaneo, per incidere maggiormente sui fattori culturali, nella consapevolezza che questi sono i veri antidoti all’ondata di odio che sembra travolgere anche le tranquille società della montagna alpina.
Una riflessione quindi che deve partire dai linguaggi di gruppo; dai modi del confronto democratico; dal reciproco rispetto e da una progressiva educazione all’uso dei “social”, vera “agorà” dei sentimenti peggiori e più deleteri perché connotata da un anonimato pericoloso ed incontrollabile.
Una riflessione capace di “farsi carico” dei problemi, anziché di rimetterli all’applicazione pedissequa di norme formali.
Una riflessione, infine, per restituire autorevolezza alle grammatiche della politica, autorevolezza che discende, a sua volta, dal rifiuto praticato ogni giorno dell’offesa, dell’insulto e dell’incitamento all’odio che nasce dalla divisione costante fra “noi” e “loro”.
Il rischio altrimenti che dalle bombolette si passi alle bombe rimane intatto, determinando un mutamento radicale dentro società come le nostre, dove dialogo e confronto costituiscono i fondamenti stessi del modello autonomistico e dove, da sempre, la convivenza fra le differenze è motrice prima di uno sviluppo vero e pacifico.
- Luca Zeni -