Il Trentino ora governato dalla Lega ha introdotto, con un emendamento approvato nottetempo senza alcun confronto, la clausola dei dieci anni di residenza per l’accesso all’assegno unico provinciale. Un vanto del nostro welfare è diventato motivo di vergogna per l’Autonomia. Giorgio Tonini, 9 febbraio 2019
Non mi piace l’ostruzionismo. E tanto meno l’abuso che se ne fa, da parte di molte forze politiche, quando sono all’opposizione. E infatti, sul disegno di legge di variazione del bilancio 2019, presentato all’esame del Consiglio provinciale dalla giunta Fugatti, noi del Pd non avevamo alcuna intenzione di fare ostruzionismo. Fino a pochi giorni fa, a differenza dei colleghi di Cinquestelle, avevamo presentato solo una decina di emendamenti, lo stesso ordine di grandezza di quelli del Patt, di Futura, dell’Upt. Avevamo annunciato, già in commissione, il nostro voto contrario, motivato sulla base di tre argomenti solidi, nessuno dei quali tuttavia avrebbe giustificato l’ostruzionismo.
Il primo argomento, scontato, è che l’opposizione, per definizione, non vota mai il bilancio proposto dalla maggioranza: nel nostro ordinamento provinciale, basato sull’elezione diretta del presidente, non esiste il voto di fiducia ed è il voto sul bilancio il criterio di demarcazione tra chi è in maggioranza e chi è all’opposizione. Questo non significa che non si possa dialogare e anche convergere in modo costruttivo, nel rispetto dei ruoli distinti e diversi assegnati dagli elettori a chi ha la responsabilità di governare e a chi ha quella di opporsi.
Il secondo è un argomento di contenuto: la variazione di bilancio, la prima manovra della giunta Fugatti, sembra ignorare i rischi di rallentamento e di vera e propria recessione dei quali è carico lo scenario che ci circonda. E infatti, per coprire il buco che si era aperto nelle casse della Provincia, in parte a causa dell’eccezionale ondata di maltempo dello scorso autunno, in parte a seguito della legge di bilancio nazionale, la giunta Fugatti ha pensato bene di tagliare gli investimenti, anziché la spesa corrente. Non solo nell’anno in corso, come sarebbe stato almeno in parte comprensibile, ma anche nel prossimo anno. E ha detto di no anche alla proposta del Patt, da noi sostenuta, di ricorrere all’indebitamento per sostenere le spese eccezionali da maltempo e salvaguardare i programmi di investimento. Perfino la severa normativa europea lo avrebbe ritenuto preferibile. Niente da fare. Si taglino gli investimenti. Allacciamo le cinture e speriamo bene...
Il terzo argomento col quale abbiamo motivato il nostro voto contrario è solo apparentemente sofisticato, in realtà molto concreto: sin dall’inizio, il disegno di legge chiamato “variazione di bilancio” è stato solo parzialmente una variazione di bilancio. Accanto a pochi articoli, che effettivamente spostavano risorse per tappare il buco, la giunta Fugatti non ha resistito alla tentazione di inserire un pacchetto di norme le più disparate, più o meno urgenti, perlopiù assolutamente condivisibili, ma totalmente prive di impatto finanziario. Questo è un cattivo modo di legiferare: nelle leggi di bilancio dovrebbero trovare posto solo norme strettamente finanziarie e non di tutto e di più: altrimenti non si capisce più nulla e il povero cittadino o amministratore è costretto ad inseguire norme e normette in decine o magari centinaia o migliaia di provvedimenti confusi e pasticciati. In campagna elettorale, tutti avevamo preso l’impegno di “ridurre la burocrazia”. Uno dei modi per farlo è rendere le nostre leggi più chiare e ordinate, dandosi delle regole, come legislatori, semplici e severe. Mi è stato risposto che ci sono tanti precedenti di leggi di bilancio inzeppate di norme non finanziarie. Lo sapevo già. Pensavo si potesse insieme, maggioranza e opposizione, scrivere una pagina nuova. Ho proposto al presidente Fugatti di stralciare le norme non finanziarie e di spostarle in un provvedimento distinto, da approvare in tempi altrettanto certi. Non solo mi ha risposto di no, ma ha rincarato la dose, depositando due pacchi di emendamenti, nessuno dei quali di variazione di bilancio, prima in commissione e poi direttamente in aula.
Neppure questa sarebbe stata una ragione sufficiente a motivare il nostro ostruzionismo, se nel nuovo pacchetto di emendamenti non ce ne fossero stati due che hanno trasformato il nostro argomentato dissenso in vera e propria indignazione. Il primo conteneva una modifica alle regole di revisione del piano urbanistico provinciale, riducendo i tempi del confronto per le proposte di variazione. L’intento della giunta era chiaro: accelerare l’iter della Valdastico. Obiettivo legittimo. Ma non con un colpo di mano, ovvero con un emendamento in zona Cesarini al disegno di legge di variazione di bilancio.
Di fronte a tanta arroganza, ci siamo visti costretti a presentare centinaia di subemendamenti, dichiaratamente ostruzionistici, all’emendamento della giunta. Le centinaia sono diventate quasi un migliaio, nel tentativo di fermare il secondo, ancor più grave, emendamento della giunta, che estende il criterio dei dieci anni di residenza in Italia, previsto dal decreto del governo che istituisce il reddito di cittadinanza, anche all’assegno unico provinciale. Si badi bene: il decreto del governo è ancora all’esame del parlamento, che sta vagliando numerosi emendamenti, tra i quali uno che armonizza il nuovo istituto nazionale con quello trentino. Non c’è dunque nessuna fretta. Anche in questo caso, abbiamo proposto al presidente Fugatti di ritirare l’emendamento e di presentare, dopo l’approvazione definitiva della norma nazionale, un disegno di legge sul quale, in considerazione della delicatezza della materia, confrontarsi con le parti sociali e le varie componenti della comunità trentina. E anche in questo caso ci è stato risposto di no, ci è stato detto con ammirevole schiettezza che la norma dei dieci anni è una priorità politica della giunta, come tale non negoziabile. Insomma, il Trentino vuole arrivare per primo in Italia, prima ancora del parlamento, a stabilire il principio che una famiglia povera deve aspettare dieci anni per avere un aiuto al suo reddito. E una famiglia povera residente in Trentino da più di tre anni e titolare dell’assegno unico provinciale, deve vederselo revocare in forza della barbara e ripugnante nuova normativa nazionale.
Il nostro ostruzionismo ha indotto il presidente Kaswalder a dichiarare inammissibile l’emendamento Valdastico. Ma ha solo rallentato di qualche ora, senza riuscire a fermarla, la folle corsa del Trentino verso un primato, quello di primo lembo d’Italia ad approvare in via definitiva la norma dei dieci anni, del quale un giorno saremo costretti a vergognarci.
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