In questi giorni il mondo cooperativo è in fermento, e discute sulle linee di indirizzo espresse dalla Presidente della Cooperazione trentina, sulle quali dovrebbe orientarsi la rotta del movimento cooperativistico provinciale.Luca Zeni, 11 febbraio 2019
Mescolando pragmatismo di governo ed antica prudenza rurale, tali linee vorrebbero interpretare la complessità delle trasformazioni in atto dentro la galassia cooperativa, come dentro la società trentina, oggi profondamente scossa da repentini mutamenti valoriali e comportamentali, che dicono di sé anche nei linguaggi e nelle forme della narrazione collettiva.Da un lato si invoca la lentezza e la gradualità, nel solco di tipiche dinamiche dorotee di governo dei sistemi complessi, per vincere gli ostacoli emersi nel processo di discontinuità che questa Presidenza sostiene di aver avviato. Dall'altro lato si esprime una dichiarata convergenza con le culture dell'attuale maggioranza politica provinciale che percepiscono i valori solidaristici - peraltro posti a fondamento dell'idea stessa di cooperazione - come un ostacolo alla cultura del «prima noi» e della chiusura nei piccoli egoismi territoriali, proiezioni, a loro volta, del più vasto disegno sovranista, nazionalista e centralista che connota l'attuale fase politica dell'intero Paese.Quello che appare non è una coerente strategia di sistema, ma un insieme di contraddizioni. Si coglie infatti la percezione della fatica della responsabilità nella guida di una così complessa articolazione di soggetti ed istanze com'è quella della Cooperazione trentina. Ciò emerge anche dall'ennesimo richiamo, oggettivamente trito, al rispetto dei mandati democraticamente espressi, siano essi quelli in capo alla Cooperazione come alla Giunta provinciale, quasi a voler celare dietro quel rispetto, peraltro sempre necessario e dovuto, l'incapacità di reggere il confronto politico.Ma, come spesso accade, il diavolo si nasconde nei dettagli.Definendo manichea la dimensione dell'accoglienza - senza peraltro rammentare che questo manicheismo è frutto della logica delle contrapposizioni nette fra valori promossa dalle attuali forze di governo locale e nazionale - si fa slittare in secondo piano proprio quel ruolo sindacale che si vuole promuovere. Pare si accetti passivamente la dinamica della contrazione dell'occupazione in quasi tutto il comparto sociale della Cooperazione, con un calo, in sede provinciale, pari all'1,4%, secondo i dati di organismi come l'«Uecoop» e le Camere di Commercio.Allora forse ciò a cui stiamo assistendo non è solo un cambio di guida del movimento cooperativo, con gli inevitabili assestamenti del caso, bensì una più sostanziale mutazione genetica dell'identità stessa del mondo cooperativo, apparentemente più attratto dal «fare impresa», come insegna la vicenda del credito, che non dal richiamo solidaristico e quindi dalla sostanza valoriale di fondo del sistema.Nessuno dubita della legittimità di questo processo, così come è legittima la volontà di plasmare il movimento secondo idee e progetti frutto di una votazione democratica, ma ciò che rimane sul fondale è l'impressione di un mutamento non ancora del tutto percepito dai molti soggetti cooperativi.Un mutamento generato dall'affermazione che l'approccio alle questioni complesse non può essere di natura ideologica. Affermazione condivisibile, se con ciò si intendesse posizioni astratte e chiuse di dottrine passate, ma l'affermazione diventa pericolosa se si intende invece che dietro alle scelte non vi debba essere una visione del mondo.Ciò che infatti distingue la diversità delle posizioni dentro il dibattito sociale e politico non è il profilo tecnico dei problemi, quanto piuttosto le modalità delle soluzioni che si vanno elaborando. Modalità che rimandano a scelte ed a valori etici messi in contrapposizione fra loro: per un verso quelli di un mercato chiuso e di un profitto «localista» e per l'altro quelli di una centralità dell'umanesimo della quale la cooperazione, per sua stessa natura, è da sempre protagonista dentro le dinamiche dell'economia liberale.Certamente cambiano i bisogni e le domande che il sistema cooperativo pone a sé stesso, ma proprio per la portata di questo cambiamento non ci si può limitare al minimalismo delle risposte tecniche, della fornitura di «pacchetti di servizio ad hoc», del sostegno materiale nel disbrigo burocratico.
Forse invece bisogna interrogarsi sulle possibilità di far sopravvivere il mondo cooperativo nel naturale antagonismo con le chiusure dei mercati, con le politiche dei dazi, con la riscoperta di muri e frontiere, ovvero con quelle realtà che stanno agli antipodi della cultura mutualistica e della reciprocità che tanto hanno animato, fin qui, la Cooperazione trentina. Forse ancora bisogna interrogare, anziché porsi collateralmente, una politica che si nutre di slogan come «aiutiamoli a casa loro» e poi taglia di netto il sostegno alla cooperazione internazionale, rispetto alla quale il movimento trentino pare essersi connotato per uno straordinario, quanto assordante, silenzio. Va indubbiamente messo a fuoco il «sentiment» della base associativa con un ritorno alle origini del sistema, purché sia un ritorno coerente con una storia lunga e importante e non con una momentanea contiguità politica di interessi e di contingenze.
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Partito Democratico del Trentino