Fissare delle cifre, almeno per ora, è una impresa. Da un lato perché la definizione del provvedimento è ancora al vaglio di politica e uffici provinciali. Dall’altro perché le bocche, quando si parla di numeri, in Piazza Dante rimangono cucite.M. Giovannini, "Corriere del Trentino", 5 febbraio 2019
Ma in attesa della discussione di oggi in Aula sulla variazione di bilancio — e quindi anche dell’emendamento relativo all’innalzamento della residenza da tre a dieci anni per l’assegno unico — qualche stima è già stata abbozzata. Affidandosi, di fatto, ai dati diffusi dalla stessa Provincia. In sostanza, se i trentini interessati dall’assegno unico nel 2018 erano circa 130.000, con una percentuale di italiani pari all’83%, a venire escluso dai nuovi criteri del provvedimento sarebbe il 17% dei richiedenti, per lo più stranieri. Vale a dire almeno 22.000 persone.
Un calcolo, però, ancora pieno di punti interrogativi. A partire proprio dalla portata della misura. Il governatore Maurizio Fugatti domenica al Corriere del Trentino aveva annunciato di voler applicare il requisito dei dieci anni di residenza «a tutte le voci dell’assegno unico, non solo al reddito di cittadinanza». Ma ora la linea sembra essere più prudente. E la giunta potrebbe «limitarsi» a una sola misura, come recita l’emendamento depositato venerdì. In sostanza, nella proposta di modifica alla variazione al bilancio, firmata dallo stesso Fugatti, si prevede in primo luogo l’eliminazione della «residenza storica di quindici anni» per beneficiare dell’assegno unico. E poi, soprattutto, si introduce il requisito dei dieci anni di residenza in Italia (come previsto dal decreto nazionale). Attenzione però: i dieci anni di residenza in Italia — in aggiunta al requisito dei tre anni di residenza in Trentino — nell’emendamento vengono richiesti solo per le misure «a contrasto della povertà». E, almeno per ora, non per le altre voci (sostegno della famiglia e di invalidità). Con una precisazione: l’innalzamento a dieci anni «non trova applicazione — si legge — nel caso di nuclei per i quali il servizio sociale ha accertato la sussistenza di problematiche sociali complesse, ulteriori rispetto al semplice bisogno di natura economica».
In ogni caso, che l’innalzamento a dieci anni valga «solo» per la quota A o venga estesa a tutte le misure, la decisione non piace ai sindacati. «Si tratta di un atto discriminatorio, anche se il testo dovesse salvaguardare le famiglie con maggiori difficoltà sociali» è il giudizio dei segretari di Cgil, Cisl e Uil. Che aggiungono: «Se poi la giunta intendesse estendere il vincolo dei dieci anni di residenza a tutto l’assegno unico, allora otterrebbe come unico risultato quello di aumentare le discriminazioni a danno dei cittadini stranieri o dei trentini che hanno passato degli anni fuori provincia, facendo cassa sulle spalle delle persone più deboli». «Esiste — conclude Andrea Grosselli (Cgil) — anche un altro problema: un presidente della Provincia non può ignorare la Costituzione e i pronunciamenti della Corte costituzionale. Lo potrà anche fare il governo, ma non è un comportamento responsabile. È propaganda».
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