Arrivano da entrambi i lati di via Belenzani, molti da soli, la maggior parte in piccoli gruppi. Sono giovani, anziani, famiglie che sfidano la pioggia del pomeriggio in centro a Trento. Con sé portano tamburi, striscioni, cartelli affissi sui passeggini. Qualche bandiera di partiti politici di centro sinistra o associazioni, molte della pace.
C. Marsilli, "Corriere del Trentino", 3 febbraio 2019
Sono i quasi mille che ieri pomeriggio si sono radunati sotto le finestre di Palazzo Thun per protestare contro il «crescente clima di odio, razzismo e paura» e contro le «scelte inumane del governo». Sono i tanti trentini che hanno risposto alla chiamata dell’evento «L’Italia che resiste», partito qualche giorno fa dall’iniziativa di alcuni ragazzi torinesi e che si è rapidamente diffuso a macchia d’olio attraverso il web in 300 città di tutta la Penisola.
Una manifestazione contro il razzismo in senso lato, e nello specifico contro il decreto Salvini e una dialettica politica che sempre più punta il dito contro i migranti. In Trentino il coordinamento del pomeriggio di protesta è stato gestito principalmente da Acli e Anpi, «ma chiunque metta il cappello su questa manifestazione si sarà indebitamente appropriato di qualcosa che non gli appartiene», ammonisce il presidente Anpi Mario Cossali.
Sul palco improvvisato salgono a parlare Fabio Pipinato e Giuliano Rizzi di Ipsia e l’ex direttore del Punto d’incontro Piergiorgio Bortolotti, che sottolinea la bellezza di un’occasione «durante la quale siamo usciti dal virtuale per incontrarci davvero attorno ad alcuni valori». Un grande movimento collettivo nel quale quasi 80 associazioni del territorio si sono volute riconoscere, tra cui anche le tre principali sigle sindacali. «Questa iniziativa nasce dal basso, dalle persone che credono ci sia un’alternativa all’odio. — spiega Andrea Grosselli della Cgil — Il Paese e il Trentino non vogliono cedere agli slogan semplicistici di chi dice che il mondo è solo degli italiani, solo dei trentini. Il mondo è molto più complesso. La recessione economica dimostra che i problemi solo altri».
Dello stesso parere Alberto Mengo, rappresentante degli studenti dell’università di Trento per l’associazione Udu: «Speriamo che questo momento diventi un input per ricostruire il tessuto sociale in una direzione diversa. Gli universitari di Trento sostengono questo pensiero perché anche l’istruzione deve fare la sua parte». La signora Laura sfida la pioggia insieme a sua figlia adolescente e a suo marito: «Per noi è normale essere qui. Vogliamo contrastare l’indifferenza».
Tra la folla c’è anche chi già da tempo mette in campo azioni concrete a sostegno dei richiedenti asilo. Emanuele Pastorino è un volontario dell’Associazione Ali Aperte, che si occupa di dare assistenza legare alla persone richiedenti protezione internazionale che hanno ricevuto un diniego dalle commissioni territoriali. «Aiutiamo a preparare la documentazione per presentare ricorso e sosteniamo l’attività degli avvocati con ricerche di tipo giurisprudenziale e sui paesi d’origine per rendere più veloce ed efficace il loro lavoro. — spiega Pastorino — Essere qui significa essere parte di un discorso più ampio per cercare di modificare le chiavi di lettura e cercare di portare il dibattito a progredire verso soluzioni differenti». Ma quella che è stata chiamata «la scintilla di una nuova resistenza» rischia di fermarsi a una bella iniziativa di piazza, senza alcuna conseguenza reale. «Quello di oggi è stato un momento di sicuro utile per vedersi di persona tra chi lavora tutti i giorni nel campo nell’emigrazione e dell’accoglienza e chi sostiene il valore dell’inclusione. — sottolinea Andrea, studente di filosofia all’Università di Trento — Ma il rischio è che manifestazioni di questo tipo non abbiano alcuna ricaduta nel mondo reale, non si concretizzino in alcune azione o reazione pragmatica. Chi è già attivo sul territorio continuerà a fare la sua parte, ma non ci sono proposte per far sì che questi sentimenti collettivi si tramutino in qualcosa di più».