Quando avviene, come è successo al Pd del Trentino, che dopo aver a lungo governato si viene mandati dagli elettori all'opposizione, ci si trova in una condizione paradossale. Per un verso, si è chiamati ad una prova di umiltà, a indagare con severità le ragioni della propria inadeguatezza, alla ricerca delle radici anche profonde della sconfitta. Per altro verso tuttavia, se si vuole corrispondere al mandato ricevuto dagli elettori, si deve subito mettersi al lavoro per organizzare l'opposizione, elaborando, comunicando e facendo vivere, sia nelle istituzioni che nella società, un punto di vista critico, alternativo rispetto a quello di chi ha avuto il mandato di governare.
Giorgio Tonini, 2 dicembre 2018
Il modo migliore per provare a coniugare queste due dimensioni, in sé tra loro contraddittorie, è forse quello di affiancare, al dovere della critica, che è la ragione democratica dell'esistenza dell'opposizione, l'onere della proposta: senza la presunzione di avere risposte pronte a tutte le domande e anzi riconoscendo i limiti del proprio operato, ma con l'obiettivo di concorrere al bene del Trentino, provando a «fare squadra», se non a colmare «l'assenza di sogni condivisi», per usare le recenti, apprezzate parole dell'arcivescovo di Trento.
È con questo spirito che, insieme agli altri gruppi di minoranza, utilizzando in modo trasparente il regolamento del consiglio, ci siamo opposti per tre votazioni all'elezione del candidato della maggioranza alla presidenza del nostro parlamento provinciale. Abbiamo ritenuto infatti che sarebbe stata un'occasione sprecata, quella dell'elezione dell'ufficio di presidenza della nostra massima istituzione autonomistica, se l'avessimo impostata e risolta nel segno della spartizione, anziché nello spirito della condivisione.
Non abbiamo ottenuto la condivisione piena che auspicavamo, ma abbiamo convinto la maggioranza, e di questo ringraziamo i presidenti Fugatti e Kaswalder, almeno ad accettare un passaggio dialogico, nel quale chiederci attorno ad un tavolo istituzionale e politico il reciproco gradimento delle proposte per la presidenza e la vicepresidenza, insieme ad un primo segnale di valorizzazione del confronto costruttivo tra maggioranza e opposizione: l'accoglimento, da parte dei presidenti della giunta e del consiglio, della proposta, avanzata da Ugo Rossi a nome di tutte le minoranze, di istituire una commissione consiliare speciale sui danni provocati dall'anomala ondata di maltempo che ha colpito il Trentino a fine ottobre.
Lo sblocco della elezione della presidenza del consiglio ha consentito di avviare il confronto sul programma della giunta provinciale, illustrato dal presidente martedì scorso: un confronto che proseguirà martedì prossimo nell'aula consiliare. Dirò subito che la relazione di Fugatti non è una buona base di discussione. Ci saremmo aspettati di doverci confrontare con un discorso impegnativo, fondativo di un nuovo ciclo politico, dopo la lunga stagione del centrosinistra autonomista. Un discorso che facesse i conti, certo in modo diverso e nuovo, con le grandi questioni che caricano di incognite e di rischi, ma per il vero anche di grandi opportunità, il futuro del Trentino. E invece, ci siamo trovati dinanzi ad una piattaforma, nella quale la calma piatta dell'ordinaria amministrazione è appena increspata dal richiamo ad alcuni temi identitari della Lega e della destra in campagna elettorale.
Questo approccio minimalista, che può essere dovuto anche a motivazioni in sé apprezzabili, come una certa prudenza e un onesto senso del limite, potrebbe tuttavia rivelarsi molto pericoloso per il Trentino. La nostra autonomia speciale è infatti, oggi più che mai, dinanzi ad un bivio, che non è eccessivo definire storico: da una parte c'è la strada, pericolosamente in discesa, che ci porta ad una Provincia ridotta ad un grande ente locale, con ingenti risorse da amministrare per gestire grossi capitoli di spesa perlopiù vincolati, insomma un'istituzione speciale solo sul piano delle dimensioni quantitative del suo bilancio; dall'altra parte c'è invece la via, tutta in salita e con tratti assai esposti, della costruzione, mai compiuta e irreversibile, di una comunità autonoma, che in forza della sua storia, della sua collocazione geografica e della sua dimostrata capacità di autogoverno, si propone come un'articolazione della statualità, rivendica insomma il suo diritto, sancito dallo statuto, di governare e non solo di amministrare il suo territorio.
Con la relazione programmatica del presidente, la giunta provinciale ha imboccato pericolosamente la prima strada. Non resta che sperare in una repentina correzione, magari già in sede di replica al dibattito consiliare. Il primo banco di prova sul quale si verificherà l'orientamento dell'esecutivo provinciale sarà il negoziato in corso, col governo e con le altre istituzioni regionali e locali, sul rinnovo della concessione all'Autobrennero. Gli sviluppi recenti del negoziato hanno messo in evidenza anche i limiti della posizione tenuta dal centrosinistra autonomista: anche noi, negli anni scorsi, ci siamo concentrati in misura eccessiva sulla dimensione gestionale, quella del destino della società concessionaria, lasciando troppo sullo sfondo la vera questione di governo, quella della definizione strategica delle politiche di corridoio (autostradale, ma anche ferroviario, telematico, energetico) lungo l'asse del Brennero. Fare squadra su questo tema credo significhi negoziare al meglio il compromesso col governo sull'assetto della nuova società, anche difendendo la collocazione della sede legale a Trento, e allo stesso tempo aprire un confronto con il governo, il parlamento e le altre regioni interessate per allargare gli spazi del cosiddetto «federalismo infrastrutturale», ossia la compartecipazione al potere di concessione. Nel caso nostro, con un'apposita norma di attuazione, come suggerito, sempre su queste colonne, da Lorenzo Dellai e da Gianfranco Postal.
Rilanciare la dimensione politica, analogicamente statuale, della nostra autonomia è certamente una strada in salita. Più facile è ridurci a concessionari di scelte politiche altrui, dalla Valdastico fino alla Supervalsugana. Ma non sarebbe quest'ultima una scelta coerente con quella visione alta ed ambiziosa che fu di Bruno Kessler e alla quale il presidente Fugatti si è opportunamente richiamato.