La battaglia della Lega per il crocifisso e il presepe nelle scuole diventa un caso nazionale. A intervenire adesso è il quotidiano dei vescovi. «Chi ha votato la “Legge della strada” (ovvero il decreto sicurezza, ndr) ci risparmi parole al vento e ai social sullo spirito del Natale», scriveva ieri Avvenire . Una posizione condivisa da molti sacerdoti.V. Iorio, "Corriere del Trentino", 4 dicembre 2018
«Se vogliamo dare significato ai simboli cristiani a questi simboli devono corrispondere delle scelte.— dice Don Mario Gretter, parroco del Duomo di Bolzano — È un problema di coerenza». Gretter invita a evitare le strumentalizzazioni. «Sono convinto che il presepe e la croce abbiano una forza pubblica e politica nel senso etimologico del termine. — spiega — Il punto è capire cosa significa rifarsi alle radici cristiane. Il crocifisso è un invito a mettersi in gioco fino in fondo anche per chi non vogliamo: gli ultimi, i fuorilegge, gli irregolari. Il presepe ci ricorda che anche il figlio di Dio è rimasto per strada. Sono strumenti che, se vengono usati per la loro forza, possono essere d’aiuto per tutti. Ma non saranno un tot di crocifissi in più a rendere più cristiana la nostra società».
Il problema non è presepi sì o no, ma capire cosa significa essere cristiani. «Qualche mese fa, durante un dibattito sulla difesa delle tradizioni, ho detto che è sempre necessario chiedersi se quelle tradizioni siano rispondenti al Vangelo e al suo spirito? Anche le crociate infatti sono state fatte in nome dei valori cristiani», aggiunge il teologo don Paolo Renner, ricordando che secondo una disposizione del Consiglio di Stato del 2012 il crocifisso «è un simbolo idoneo a esprimere l’elevato fondamento dei valori civili (tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti)» che, pur avendo un’origine religiosa, sono i valori che delineano la laicità dello Stato. «Valori che — spiega il teologo — sono affermati anche dalla Dichiarazione universale dei diritto umani di cui il 10 dicembre ricorrono i settant’anni». Vivere il messaggio evangelico significa quindi mettersi dalla parte degli esclusi, di chi quando ha chiesto accoglienza ha trovato le porte chiuse, come la famiglia di Nazareth. «Negli alberghi oggi trovano spazio i turisti che vengono a vedere i mercatini, ma non chi scappa da Paesi in crisi o in cui i diritti sono negati», conclude Renner.
«Per evitare di scadere nella polemica, bisogna allargare il discorso — dice don Lino Zatelli, parroco della chiesa di San Carlo Borromeo, a Trento — Credo che il Natale abbia perso spessore, è diventato un mercato. Siamo molto distratti e superficiali. Ai miei parrocchiani a volte dico: “Sarebbe bene che la Chiesa decidesse di non celebrarlo più e vediamo cosa succede”. Mi preoccupa il fatto che questa festa, la festa dell’accoglienza, dell’amore, venga usata come una clava per dare addosso a qualcuno. Gesù Cristo è straniero, ma tutti i giorni non solo a Natale». Il rischio è che tutto venga ridotto a dei simboli privi di significato. «Usiamo il crocifisso, che è l’immagine di un sacrificio per amore dell’umanità, per dividere. — continua don Zatelli— La fede invece dovrebbe creare adesione». Quello che manca, secondo il parroco della Clarina, è una vera cultura cristiana. «Se porto gli studenti in una chiesa cosa capiscono di quello che vedono? Cosa sanno delle sacre scritture?», si chiede. «L’augurio che vorrei rivolgere a tutti è di vivere il Natale non attraverso i simboli, che spesso nella sono stati strumentalizzati, ma con i volti delle persone, le loro storie, la loro presenza» .
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