«Oggi essere il Pd del Trentino non è sufficiente». Alberto Pacher parte da qui: in vista di un congresso «che mi auguro sia convocato in tempi brevi e sia scollegato da quello nazionale», l’ex vicepresidente della Provincia disegna i contorni di un soggetto nuovo. Che tenga conto dell’annus horribilis in via di conclusione e che punti a «recuperare quell’area di opinione che oggi non è più con noi».
M. Giovannini, "Corriere del Trentino", 11 novembre 2018
Un soggetto magari confederato con il nazionale, ma che potrebbe non chiamarsi neppure Pd: «Non mi sentirei legato in modo inscindibile al nome» osserva Pacher. Che da ex sindaco di Trento ha seguito anche le tensioni sul rimpasto di giunta: «Ora è necessario l’impegno di tutti per ritessere un disegno di futuro di città».
Partiamo proprio dal capoluogo: il sindaco Alessandro Andreatta si ritrova con una maggioranza sulle barricate. Condivide le critiche delle forze politiche?
«Non voglio entrare nel merito delle decisioni: quando non si è direttamente coinvolti sfuggono molte delle variabili in gioco. Mi auguro però che questo rimpasto chiuda l’annus horribilis del centrosinistra autonomista, che dalle politiche in poi ha gestito le varie fasi quasi con un atteggiamento di accanimento verso se stesso. Sono d’accordo con Lorenzo Dellai: la coalizione è andata in crisi non perché si è divisa, si è divisa perché era in crisi. Una crisi data dal fatto che la coalizione stessa aveva bisogno di essere alimentata in questi anni. E così non è stato».
In che senso?
«Si è pensato fosse sufficiente l’azione amministrativa, dove effettivamente la maggioranza provinciale ha fatto bene. Ma non era così: c’era bisogno anche di una alimentazione politica. Lo si vede bene a livello nazionale, dove il disastro della sindaca Raggi su Roma è irrilevante per il seguito dei 5 Stelle: il movimento perde consensi per le fratture interne ma non per i problemi dell’amministrazione della Capitale».
Torniamo al Comune.
«Le reazioni delle forze politiche sono in parte legate alla ripartizione dei pesi in giunta e in parte al metodo. Ecco: la coalizione dovrà lavorare affinché questa situazione non si riverberi sulle elezioni del 2020. Visto quanto è successo quest’anno, oggi non abbiamo garanzie: in un anno è cambiato il mondo e quindi prevedere il 2020 è difficile. Ma è bene muoversi con prudenza».
Come deve agirei dunque la maggioranza?
«A fianco dell’azione amministrativa concentrata sulle priorità, ci dovrà essere una mobilitazione dell’intera area per ritessere un disegno di futuro di città, al di là della composizione della giunta: bisogna trasmettere un’idea di città. Per fare questo anch’io penso sia importante che si proponga una nuova classe dirigente, fuori da ogni intento di rottamazione. Penso ai giovani di Pd, Upt e Patt che si sono messi in luce alle provinciali: sarebbe importante che tra loro si aprisse un dialogo. Andare avanti a strappi e a deficit procedurali vorrebbe dire destinare la coalizione a un nuovo schianto».
Ha citato il Patt: dai vertici del partito non arrivano però segnali positivi per un’azione comune con Pd e Upt. Lei ci crede ancora?
«Mi auguro che sia così. In ogni caso credo che si dovranno rivedere anche i grandi contenitori. Penso al Pd, visto che l’Upt in questo momento ha problemi più profondi: la parte più di centro deve ricostruire le sue relazioni e tornare ad avere una presenza importante sul territorio. Del resto, se il Trentino ha rappresentato un’anomalia in tutta Italia è anche perché da noi una parte importante dell’opinione pubblica di centro ha deciso di aderire a un progetto di centrosinistra. Altrove non è successo».
E il Pd?
«Auspico che venga convocato quanto prima il congresso provinciale e che sia scollegato da quello nazionale. Il Pd deve riflettere sulla propria fisionomia: oggi essere il Pd del Trentino non è sufficiente».
Cosa intende dire?
«Oggi il Pd nazionale sta vivendo il suo momento di massima crisi e rischia di andare a sbattere. È come quando abbottoni un vestito: se associ il primo bottone all’asola sbagliata di conseguenza sono sbagliati anche gli altri bottoni. E così mi pare il quadro nazionale. Per questo credo che il Pd locale debba scollegarsi dal nazionale e concentrarsi sulla presenza dell’area democratica in Trentino. Pensare a qualcosa di nuovo».
Che non si chiami più nemmeno Pd?
«Non mi sentirei legato in modo inscindibile al nome, anche se magari si può pensare a una confederazione con il nazionale. Bisogna andare oltre: il problema del Pd, oggi, non è organizzare il voto a sinistra ma recuperare l’area di opinione che non è più con noi e che non ci guarda più con simpatia».
Ultima domanda: Andreatta finirà il mandato?
«Spero e penso di sì. Certo, il metodo del rimpasto non ha favorito l’attenuazione dei malumori. Ma mettere in crisi la città oggi vorrebbe dire rischiare di perdere un baluardo importante».