Il dibattito politico lo ha potuto seguire da un osservatorio privilegiato: quello di presidente del Consiglio provinciale. Ora Bruno Dorigatti, libero da impegni istituzionali, interviene in un momento non facile per il centrosinistra. Vissuto non già a livello nazionale ma, ed è l'elemento di novità, anche in una Provincia in cui ha perduto il pallino di governo.
"Trentino", 9 novembre 2018
Dorigatti, non pare esserci dubbio che le culture riformiste attraversino una fase di appannamento della loro proposta...« Sì, mentre le destre nazionali ed europee attraversano stagioni di un consenso alimentato, più che da progetti di governo, da risorgenti nazionalismi e da nuove paure e rancori».
Cosa serve a suo dire per un rilancio della sinistra?«Bisogna ritrovare attenzioni a temi come quelli del lavoro, dei diritti, delle disuguaglianze, della precarietà, della flessibilità, delle sfide ambientali. E del sereno confronto sui nodi delle emigrazioni che vanno governati in quanto processi strutturali profondi».
Un discorso che sembra riguardare il Partito democratico a Trento, come a Roma.«Beh, anche a Bruxelles, se vogliamo. Gli esiti elettorali hanno decretato la sconfitta di una linea politica e culturale che ha perso gli agganci con le categorie tradizionali del consenso riformista, ovvero il ceto medio, i mondi del lavoro, dei pensionati, della scuola. Non ha saputo affatto confrontarsi con il vissuto attuale della società italiana. E così la cecità sembra aver afflitto improvvisamente una forza politica che, dopo aver contato solo due anni fa su di un consenso pari al 40% dell'intero elettorato nazionali. Ora si ritrova a sbagliare clamorosamente prima un referendum, troppo personalizzato attorno al plebiscito per il "capo" e poi le elezioni politiche del marzo scorso».
Vediamo qui, in Trentino?«Il Pd provinciale si è chiuso in sterili divisioni interne, si è consumato nella vana ricerca di un leader alternativo a quello di coalizione, sempre più distante dai temi e dai soggetti delle culture riformiste e sempre più vicino ai salotti delle elitès borghesi urbane. Ma pure ossessionato dal fantasma dei "Civici": così ha lasciato prevalere la forza vendicativa dei personalismi sulla lucida analisi delle emergenze, sfarinando il voto su più liste concorrenti e dimezzando, di fatto, la rappresentanza politica in Consiglio provinciale. Ma c'è di più».
Dica pure Dorigatti.«Davanti a questo sfascio ed alla sua drammatica rappresentazione durata alcuni mesi, oggi ci si giustifica con improbabili ed opinabili calcoli sui flussi elettorali, dimenticando che comunque fossero andate le cose, si poteva almeno contenere il leghismo straripante. E si sarebbe tenuta in vita una coalizione anche per i futuri appuntamenti elettorali. Ai quali ci si presenterà in ordine sparso».
La sua ricetta?«Dico subito cosa non serve: anzitutto la saccenza di insegnanti dalla penna rossa e dalla pagella facile. Di coloro che per affossare Ugo Rossi hanno spalancato le porte a Matteo Salvini, mentre è necessario e salvifico un complessivo bagno di umiltà, dal quale trarre idee, progetti e strategie, che non potranno essere guidati da coloro che hanno bocciato nei fatti l'esperienza del centrosinistra autonomista trentino».
Come muoversi?«Deve partire un grande lavoro di ricostruzione, sul territorio tutto, di un nuovo soggetto politico largo ed aperto. Non deve trattarsi dell'ennesima sperimentazione di formule, quanto piuttosto della creazione partecipata di un soggetto in cui tutti rinunciano alla propria bandierina e specialmente a sinistra, perché oggi non è più il tempo della mera testimonianza».
Quali caratteristiche dovrebbe avere questo soggetto?«Penso ad un soggetto capace di raccogliere ed interpretare sensibilità diverse ma non differenti. Un soggetto figlio della sintesi fra culture politiche estese dal socialismo all'autonomismo ed al popolarismo: partecipato dal basso e non imposto dall'alto dei salotti e del verbo dei conferenzieri. Anche attento alla società ed alle sue trasformazioni, ma in grado di decidere sulla base dei valori tradizionali delle rispettive culture fondanti, in rapporto con Roma, seppur in autonomia dalla capitale».
Esiste ancora uno spazio di agibilità politica per un simile soggetto?«Ne sono convinto, perché so che, nonostante tutto il vento in poppa dei populismi e dei nazionalismi, esiste una stragrande maggioranza di italiani e di trentini che non si riconosce nei linguaggi del rifiuto, dell'odio e dell'esclusione: attende di essere ascoltata ed interpretata».