Il Trentino «speciale» ha bisogno di un Pd «speciale»

Fin dalla sua fase costitutiva il dibattito intorno al Pd del Trentino è ruotato attorno alla necessità di darsi una prospettiva territoriale. In molti, in questi anni, hanno ritenuto che ciò fosse necessario per dare stabilità politica alla coalizione di centrosinistra autonomista. 
Cristina Frassoni, "Corriere del Trentino", 9 novembre 2018

 

Il Pd del Trentino si era proposto, almeno nelle intenzioni, di raccogliere il testimone di forza guida del governo dell’Autonomia e, al tempo stesso, di favorire l’incontro, in una sintesi nuova, delle culture politiche popolari e riformiste del Trentino.

Per raggiungere un tale ambizioso obiettivo i democratici avrebbero dovuto concludere un percorso che a oggi è ancora incompiuto per volontà di chi questo partito lo ha guidato di volta in volta. Troppo spesso, infatti, anziché radicarsi nella realtà della nostra Provincia si sono preferite scorciatoie, riducendosi a mera succursale del Pd nazionale e scimmiottandone le dinamiche. A ciò si aggiunga il fatto che una componente rilevante del partito ha spesso fatto fatica ad accettare la sfida del governo ponendosi in modo conflittuale con la guida provinciale e sentendosi distante da una prospettiva coalizionale. Le tensioni dunque tra «nazionale-locale» e «di lotta e di governo» hanno caratterizzato tutto il percorso del Pd del Trentino non consentendogli mai di proporsi seriamente per la guida dell’Autonomia.

A ciò si sono aggiunti i fortissimi cambiamenti a livello globale che hanno ulteriormente messo in difficoltà l’azione del partito. Le forze della «sinistra tradizionale» fanno infatti fatica a comprendere e tradurre in azione politica la forte domanda di protezione sociale che sta emergendo in tutti i Paesi occidentali. Nel 2016, con alcuni membri dell’assemblea, abbiamo constatato che non si poteva più procedere inerzialmente, che la buona amministrazione non era sufficiente e che il problema del Pd non era, come spesso in modo semplicistico ci si è detti, la sua litigiosità, ma l’assenza di dibattito politico vero. Ne nacque un incontro, dal titolo «Un Partito per il Trentino». La costruzione infatti di un partito utile al Trentino doveva e deve essere l’obiettivo che caratterizza la presenza del Pd nella comunità e nelle istituzioni. Senza una capacità progettuale ancorata al territorio e di un’autentica cultura di governo, nel momento in cui il Pd nazionale ha subito una fortissima crisi ci siamo ritrovati privi di una proposta politica nostra subendo totalmente l’ostilità che a livello nazionale era andata via via coagulandosi attorno al Pd romano.

Ma in tempo di mutamenti non era possibile affidarsi esclusivamente a una formale unità dei vertici, era necessario invece risolvere i nodi politici di fondo. Non si trattava di «pacificare» ceto dirigente, ma di dare un’anima al partito e alla proposta del centrosinistra autonomista.

In modo inerziale si è quindi pensato di affrontare pure le elezioni politiche, con l’obiettivo di «accontentare» le diverse disponibilità raccolte, senza interrogarsi sul «senso» profondo di queste disponibilità e di come esse potessero in qualche modo essere funzionali a un progetto complessivo. Che cosa avrebbero dovuto fare a Roma gli eventuali parlamentari del Pd ? Quale missione affidavamo loro rispetto alla tutela e all’aggiornamento della nostra Autonomia? Domande spesso non degnate di risposta, cadute nel vuoto o accolte con un certo fastidio perché i grilli parlanti, o i gufi, non piacciono a nessuno.

Poi è arrivato il voto del 4 marzo. Dopo anni di sostanziale inattività politica — salvo solitarie rivendicazioni di leadership sui giornali a cui nulla è seguito — anziché fare un’analisi sulla crisi delle forze della sinistra ufficiale in tutto il mondo e sulle difficoltà progettuali del centrosinistra autonomista si è scelto di individuare nel presidente Rossi il colpevole.

Come ho cercato di argomentare, ovviamente in modo stringato, le ragione della sconfitta non si esauriscono, come è normale, nella scelta compiuta dall’assemblea del Pd di negare a Rossi un secondo mandato da candidato presidente, ma rimandano a scelte o non scelte vecchie di anni. Ritengo necessario che chi o coloro i quali risulteranno vincitori al prossimo congresso provinciale, riprendano in mano quanto è già stato elaborato negli anni precedenti rispetto alla cosiddetta «prospettiva territoriale», aggiornandola alle condizioni presenti. Non si tratta, come alcuni sembrano suggerire, di uno scontro tra vecchio e nuovo, tra conservazione e cambiamento, tra giovani e establishment: ridurre strumentalmente la questione a un mero scontro generazionale significa, per l’ennesima volta, semplificare il problema ed evitare di affrontare quello che é il vero nodo centrale: decidere una volta per tutte che tipo di partito vuole essere il Pd per il Trentino. Non si tratta di sostituire i vecchi interpreti con nuovi interpreti più freschi e giovani, ma di riscrivere il copione daccapo. Non si tratta, come qualcuno può pensare, di «abbandonare la nave mentre questa sta affondando», ma di riconoscere ciò che è sempre stato ovvio: il Trentino, terra di specialità, necessita di un Partito democratico anch’esso «speciale», in dialogo costante con Roma ma in grado di comprendere e dare rappresentanza alla specialità di questa terra.