«La partecipazione è fondamentale, ma se poi non si decide nulla, rischia di essere solo rumore». Forte del proprio successo elettorale in termini di preferenze (5.688, il più votato degli eletti), Alessandro Olivi mette i piedi nel piatto, quello del Pd, e lascia intravedere la sua possibile corsa a segretario al congresso.
T. Scarpetta, "Corriere del Trentino", 24 ottobre 2018
La sconfitta del centrosinistra era nell’aria, ma un tonfo così pesante dopo la batosta di marzo forse non era previsto. Cos’è successo?
«Si è ampiamente sottovalutato che aver amministrato per anni con risultati oggettivamente importanti non bastava. L’economia sta ripartendo, la coesione sociale è stata garantita, eppure moltissime persone si sentono sole e insicure. In questo clima è riuscita a farsi strada una cultura nuova, quella leghista, che offre risposte illusorie e individuali, ma offre risposte».
L’esecutivo uscente non ha qualche responsabilità nell’«italianizzazione» della comunità?
«C’è stata una certa foga modaiola di apparire decisionisti e di non coinvolgere gli attori interessati nelle scelte. Il culto di tante personalità e la costante fibrillazione hanno potuto offrire un’immagine più caratteristica della zuffa politica italiana che dello stile trentino».
In questi cinque anni il Pd si è riunito quasi esclusivamente per discutere di congressi dai quali non è mai uscita un’opzione politica tracciabile, o al limite per decidere chi dovesse candidarsi a cosa. Ora che, ragionevolmente, non avete più nulla da perdere, cosa farete?
«Come già in passato ho avuto modo di dire, il Pd non è riuscito a diventare negli anni una comunità, è rimasto un accampamento. Ognuno ha piantato la sua tenda e vi si è chiuso dentro. Da lontano potevamo sembrare anche un corpo unico, ma non lo eravamo. Per evitare che qualcuno spostasse la sua tenda, non abbiamo mai avuto il coraggio di decidere. Il nodo è questo. Abbiamo discusso prevalentemente di come impedire a qualcuno di fare qualcosa non siamo mai riusciti a decidere noi cosa fare. La partecipazione è fondamentale, la democrazia è partecipazione, ma se poi non si decide nulla, la partecipazione rischia di essere solo rumore».
A se stesso rimprovera qualcosa?
«In questi anni ho lavorato molto, ho passato tantissimo tempo in ufficio e, credo, perché il mio ruolo lo richiedeva, ma sono stato poco tra la gente. La campagna elettorale ti aiuta a capire certe cose. In passato io e altri abbiamo evocato la necessità di avere una visione progettuale, di non accontentarsi solo dell’amministrazione. Confermo questa necessità, ma aggiungo che una visione per essere capita deve essere anche popolare. Poi la gente va ascoltata, questo la Lega lo sa da tempo. Spero di non essere solo in queste riflessioni critiche. Ogni persona che ho incontrato in queste frenetiche settimane, prima di tutto mi ha ripetuto quanto lontani siamo apparsi dai problemi della gente. La destra dà risposte individuali, noi dobbiamo tornare ad essere percepiti come una comunità politica. Perché se è vero che una certa cultura è penetrata anche in Trentino, il tessuto connettivo fatto di associazionismo e partecipazione civica è ancora molto forte».
Il segretario Giuliano Muzio ha già annunciato un nuovo congresso. Ne uscirà una linea politica?
«L’immobilismo che ci ha caratterizzati fino ad ora in parte si giustifica con la paura di non alterare gli equilibri su cui poggiava il governo. Ora quella preoccupazione, purtroppo, non c’è più, ora rimanere immobili significa solo scomparire a poco a poco, evaporare. Ciò che ci occorre è un congresso vero in cui non si abbia l’ansia di arrivare a una soluzione unitaria, in cui si confrontino opzioni tra loro anche diverse e che, alla fine, veda una decisione e l’indicazione di una leadership chiara, che essendo noi democratici deve essere collettiva, ma riconosciuta».
In questi anni, più volte si è ipotizzato un suo impegno diretto nel partito. Si candida a segretario?
«Le candidature non si decidono mai individualmente, quindi è presto per dare una risposta a questa domanda. Ciò che posso dire ora è che dopo dieci anni di amministrazione, di certo ora avrò più tempo per occuparmi del partito. Gli stimoli non mi mancano e, tra questi, il voto accordatomi da tante persone, magari non di stretta area dem».
Ha già un programma?
«No, ma un’idea di massima sì. Dobbiamo offrire soluzioni anche radicali per il Trentino e dobbiamo da subito cercare di allargare la nostra rappresentanza. Il civismo, inteso come somma di sindaci, ha dimostrato di non esistere, ma l’impegno civico di molti cittadini attivi nelle amministrazioni e nelle comunità quello esiste eccome. Oggi da una parte c’è la Lega, la destra, dall’altra ci siamo noi, il Pd e Futura. In mezzo c’è un mare. Noi dobbiamo imparare a navigare in quel mare».
Quindi recuperare l’alleanza con il Patt non è una priorità?
«In termini cronologici, no. Se una cosa buona possiamo ricavare da questo disastro è che ci possiamo mettere a pensare cosa vogliamo essere noi domani, a quali mondi possiamo e dobbiamo aprirci, quali idee innovative abbiamo da offrire al Trentino. Fatto tutto questo, trovate finalmente una nostra identità e una nostra progettualità, solo a quel punto saremo pronti per ricostruire un’alleanza ampia comunque necessaria. L’importante è non cercare di farlo guardando con occhi nostalgici al passato. Ciò che è stato non torna più».