Il primo dato, che molti candidati dell’Alleanza democratica e popolare per l’autonomia si affrettano a sottolineare in diretta sui loro canali social, è una sala della cooperazione piena in ogni ordine di posto, pure quelli in piedi e nell’atrio, per ascoltare Paolo Gentiloni giunto a Trento per sostenere Giorgio Tonini.E. Ferro, "Corriere del Trentino", 19 ottobre 2018
L’altra evidenza è che l’ex presidente del consiglio non si astiene dal caricare di significato l’appuntamento elettorale di domenica: il Trentino, nell’ordine, ha la «responsabilità aggiuntiva» di mandare un segnale per cui la «travolgente tendenza delle destre nazionaliste può essere fermata» e di «scoraggiare la corsa verso il precipizio in cui questo governo ha infilato l’Italia». Senza dimenticare che «in gioco c’è anche lo stato di salute del tessuto economico tipico di una provincia come quella di Trento».
L’appello è «ai moderati e agli elettori di sinistra che il 4 marzo hanno votato Cinque stelle». Sono le 17.49 quando Gentiloni prende la parola. Prima di lui è toccato a Paolo Ghezzi (Futura), Vittorio Fravezzi (Upt) e Giulia Bergamo (Pd), le voci del «tridente — come lo chiama Ghezzi — che sostengono il progetto e la candidatura di Tonini alla presidenza della Provincia». Lui, Tonini, decide di soffermarsi molto sull’europeismo dell’autonomia: «Autonomia ed Europa sono due facce della stessa medaglia, è scritto nel dna dei trentini — evidenzia — Matteo Salvini quando viene qua non ne parla, ma la sua Lega vuole creare le condizioni affinché l’Italia si sganci dall’Europa: per il Trentino è una prospettiva suicida, siamo l’unica autonomia speciale ad avere una radice internazionale». Un concetto ripreso più volte da Gentiloni, che nella parte finale del suo intervento si sofferma a lungo sul «contesto in cui il Paese si trova in questo momento, mai così isolato a livello europeo e mediterraneo, più solo e dunque meno sicuro e allo stesso tempo più povero, a causa di annunci e dichiarazioni che hanno prodotto effetti economici molto gravi». «Mi auguro che in questo governo ci sia qualcuno che si rende conto della delicatezza della situazione e si faccia sentire — afferma scatenando l’applauso – perché un compromesso con l’Europa si può trovare e ci si può sempre fermare prima del burrone». Ed ecco l’affondo: «Scoraggiando questa corsa verso il precipizio il Trentino farebbe un servizio alla patria».
L’ex premier non usa mezzi termini: «La posta in gioco è importante, si tratta di difendere o distruggere l’autonomia trentina — sostiene — nel difenderla bisogna migliorarla, con più solidarietà e servizi pubblici che funzionino ancora meglio, abbatterla significherebbe demolire un modello che ha dimostrato di poter funzionare». Gentiloni si dice preoccupato da chi «si presenta in queste terre con la veste del conquistatore o del liberatore e magari ieri diceva a Mosca di sentirsi a casa sua». Altro applauso, lo stesso che si guadagna quando afferma che «non possiamo affidare la guida dell’autonomia speciale a chi intende cancellarla o omologarla ad altre realtà del Paese». Inevitabile, infine, il richiamo a Alcide De Gasperi: «Non si può pensare, nella sua terra, di importare un modello nazionalista di contrapposizione con i vicini, basato su rancore, rabbia e ostilità verso le persone di diversa provenienza, etnia o fede religiosa».
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Hanno tutti le facce di chi non se lo aspettava. Le persone accorse per ascoltare ieri pomeriggio Paolo Gentiloni alla sala della Cooperazione non si aspettavano di essere così tante. E invece la sala era strapiena e fuori c'era anche la fila davanti alle porte per ascoltare l'ex premier che non è proprio noto per essere un arringatore di folle. Ma il centrosinistra ha interpretato l'appuntamento come se fosse una prova di esistenza. Ed ecco che c'erano tanti candidati di tutti e tre i partiti della coalizione, anche se a dire il vero quelli dell'Upt non erano proprio tantissimi, ma anche tante persone comuni.
E Gentiloni non li ha delusi. Come non li hanno delusi Giorgio Tonini, Paolo Ghezzi, Vittorio Fravezzi e la giovane Giulia Bergamo che hanno parlato dal palco prima dell'ex presidente del Consiglio. Il leit motiv è sempre quello caro al centrosinistra: «Con la vittoria della Lega, il Trentino diventerà una periferia della Padania, l'Autonomia è a rischio. Sarebbe un azzardo irresponsabile omologare il Trentino alla Padania. Siamo a un bivio: si tratta di difendere o distruggere l'Autonomia trentina. La Lega è estremista e alimenta una contrapposizione all'Europa che può soltanto nuocere al modello di Autonomia solidale del Trentino», ha detto lo stesso Gentiloni parlando con i giornalisti prima di entrare nella sala stracolma di persone in bilico tra il timore per una sconfitta pesante e la speranza di una rimonta clamorosa.
Poi è entrato nella sala. A introdurre, Paolo Ghezzi che ha fatto sorridere la platea contrapponendo il tridente del centrosinistra con il «Fugatti a nove code», la coalizione di centrodestra dalle dimensioni ipertrofiche, e poi ha attaccato il Patt che se ne è andato in preda «a una mania autoreferenziale e solipsistica». Anche negli interventi di Giulia Bergamo e di Fravezzi è arrivato forte il messaggio che domenica il Trentino è a un bivio tra il buongoverno e le macerie. Tonini, poi, ha fatto un lungo intervento citando Churchill e Degasperi, ma anche attaccando Salvini che vorrebbe dirigere a bacchetta l'Autonomia dirigendo da lontano Fugatti. A Gentiloni, poi, è toccato lanciare un segnale di speranza: «E' possibile ribaltare una situazione pericolosa. L'Autonomia solidale costruita in questi 60 anni in Trentino è vista con ammirazione nel resto d'Italia. Adesso arriva qualcuno che ha sentimenti di conquista. Qualcuno che dice di sentirsi a casa sua quando è a Mosca». Alla battuta le centinaia di persone in sala si sono sciolte in un applauso liberatori, come a dire finalmente qualcuno che le canta a Salvini. E poi di nuovo all'attacco: «La Lega vuole cancellare l'Autonomia solidale, non possiamo lasciarla vincere. Il suo è un progetto nazionalista, estremista e sovranista. Domenica scendete in campo, non facciamo come i sonnambuli del 1913 che non si erano accorti di quello che stava arrivando».
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