Come presidente di un’organizzazione umanitaria che aiuta gli africani «a casa loro» vorrei porre alcune questioni, approfittando della presenza del ministro Matteo Salvini in Trentino. Non sono fra quelli convinti che le migrazioni non siano un problema, così come non nego che ci sono differenze, giuridiche e di fatto, tra richiedenti asilo e «migranti economici».
M. Raffaelli, "Corriere del Trentino", 25 agosto 2018
Non condivido, infine, l’opinione di coloro che, nel mio campo, pensano che Minniti e Salvini siano le due facce della stessa medaglia. Credo, anzi, che queste posizioni favoriscano, inconsapevolmente, la politica dell’attuale governo.
Il ministro Salvini, in realtà, sta distruggendo, un po’ alla volta, quello che il suo predecessore aveva cominciato a fare. Minniti, infatti, aveva capito che il salvataggio in mare (moralmente encomiabile oltreché doveroso) costituisce solo il punto intermedio fra un prima (perché i migranti arrivano) e un dopo (cosa fare quando sono arrivati). E che concentrarsi sul salvataggio rischiava di oscurare gli altri due elementi. Di qui, la necessità di diminuire gli sbarchi per cercare di elaborare, fuori dall’emergenza, una politica europea che, sola, può affrontare in maniera organica un problema strutturale con il quale (se non altro per ragioni demografiche) l’Italia dovrà convivere nei prossimi decenni.
Così, insieme alla riduzione degli sbarchi (80% in meno, ben prima di questi ultimi tre mesi), erano iniziate nel Mediterraneo azioni congiunte fra Guardia Costiera e Ong, sulla base di un preciso protocollo. Unhcr e Oim, poi, avevano cominciato ispezioni nei lager libici (che esistevano anche prima nella disattenzione generale). Allo stesso tempo veniva introdotta una revisione del modello italiano di accoglienza mentre, in sede europea, si cominciava ad affrontare il tema di un aiuto strutturale per i paesi africani.
Inoltre, prima delle nostre elezioni politiche, era stata messa all’ordine del giorno del vertice europeo, previsto per la fine di giugno, la proposta di rivedere (a maggioranza) il famoso regolamento di Dublino e la necessità di rafforzare le sanzioni per quei Paesi che non rispettavano in tutto o in parte la quota dei ricollocamenti obbligatori concordata. Per giustificare il mancato rimpatrio dei 500.000 clandestini (e distogliere l’attenzione dalle tante promesse elettorali irrealizzabili) è stata letteralmente inventata dal nuovo governo un’emergenza inesistente. E si è andati al vertice di giugno «sbattendo i punti sul tavolo». Ottenendo un nuovo accordo (festeggiato, non a caso, dagli «amici» del gruppo Visegrad che non vogliono accogliere nessun immigrato) in base al quale il regolamento di Dublino potrà essere modificato solo all’unanimità e i ricollocamenti dovranno avvenire solo su base volontaria. Tale catastrofe negoziale è stata spacciata, nella farsesca conferenza stampa del presidente del consiglio presunto, come uno storico successo. E il ministro Salvini, ha ricominciato subito ad alzare il tiro, trasformando ogni possibile arrivo sulle nostre coste in un incidente internazionale. Fino all’incredibile vicenda di questi giorni. Per giustificare il sequestro degli immigrati a bordo della nave Diciotti, il ministro Salvini, in un’intervista al Corriere della Sera di ieri, si è esibito in affermazioni sconcertanti. Dopo aver sostenuto che gli eritrei non hanno diritto d’asilo perché è in corso un importante processo di pace con l’Etiopia (ciò che non elimina, al momento, il carattere dittatoriale del regime eritreo), Salvini ha dichiarato di poter agevolmente modificare, insieme al suo amico Viktor Orbàn, la Convenzione di Ginevra e di voler adottare, per l’Italia, la politica del «No way» praticata dall’Australia. In un delirio di onnipotenza che lo porta a ritenersi capace non solo di stracciare facilmente e impunemente i trattati internazionali ma anche di cambiare la collocazione geografica dell’Italia. Ciò che sarebbe necessario (al netto delle valutazioni etiche e umanitarie) per poter scopiazzare il «modello» australiano.
Piuttosto che inseguire simili sogni il ministro Salvini farebbe meglio a dedicarsi a ciò che rientra nei suoi poteri. Attivando, per esempio, dei canali legali per l’immigrazione. Istituendo dei «visti per lavoro» che consentano di venire in Italia e rimanerci per un periodo limitato alla ricerca di un’occupazione. Promuovendo programmi e procedure al fine di impiegare in lavori socialmente utili i tanti «irregolari» che circolano sul territorio in attesa di una decisione sul loro destino. Finanziando corsi di formazione presso istituti o aziende al fine di incentivare rimpatri assistiti e tali da creare valore aggiunto nei Paesi d’origine.
Sarebbe interessante sapere, infine, per quale ragione il «braccio di ferro» di Matteo Salvini con l’Europa non potrebbe proseguire con i 150 eritrei a terra. Tanto più che non è davvero lecito usare il corpo delle persone come strumento di pressione. L’utilizzo degli «scudi umani», infatti, è pratica contemplata da soggetti che operano fuori dalla legalità. Dovrebbe tenerlo ben presente chi ricopre la carica di ministro dell’Interno.