Tonini: «Imperdonabile una rottura. Io la mediazione? Sono un riservista»

«Sarebbe davvero triste se finissimo per dividerci su chi deve fare il presidente». Giorgio Tonini si mostra aperto a a diverse soluzioni, ma allontana la rottura del centrosinistra autonomista come un peccato mortale. «Di fronte all’alternativa che si profila per il Trentino, le differenze che ci separano sono davvero poca cosa.
T. Scarpetta, "Corriere del Trentino", 8 agosto 2018

 

 

Pensiamo solo all’Europa: in una terra che cento anni fa era inzuppata di sangue non si può parlare con disinvoltura della fine dell’Europa, non si può risvegliare la belva nazionalista. Noi tutti siamo autonomisti perché siamo europeisti».

Non è un mistero che il suo nome circoli come possibile mediazione tra i due diktat, quello del Patt su Ugo Rossi e quello della sinistra su Paolo Ghezzi. È un’ipotesi che l’alletta?

«Dopo quasi vent’anni in Parlamento, non credo di avere più nulla da chiedere, semmai ho qualcosa da restituire. Alla mia famiglia, che spesso ho trascurato a causa degli impegni, al mio partito e alla comunità trentina. Il fatto che il mio nome circoli mi lusinga e ho già detto di essere a disposizione se si riterrà che io possa dare un contributo, ma sarei più contento se in trincea non fossero richiamati i riservisti come me. La mia unica ambizione è essere utile, con la mia presenza come con la mia assenza».

Perché siete arrivati a questo punto?

«A causa di una polarizzazione che ha prodotto uno stallo. L’argomento di Rossi, “abbiamo governato bene”, è forte e il rischio di un autogoal sostenendo il contrario è concreto. È vero, però, che anche noi eravamo convinti di avere governato bene, una convinzione confermata a posteriori dal confronto con quello che sta facendo l’attuale governo. Eppure, questo non è bastato. I sostenitori di Ghezzi ritengono che si debba dare risposta alla richiesta di cambiamento che arriva dall’elettorato e anche questo è un argomento solido».

Ma il cambiamento chiesto dall’elettorato non va un po’ in senso contrario rispetto a questa candidatura?

«Questo è il suo principale limite, che si somma a una genesi piuttosto di parte».

Di fronte a tutto questo c’è chi pensa a una figura di mediazione.

«È vero, c’è chi ritiene che da questa contrapposizione si possa uscire solo con un compromesso. Il problema dei compromessi è che possono essere al rialzo o al ribasso».

Le che tipo di compromesso rappresenterebbe?

«L’ultima persona che le può rispondere sul punto sono io».

Lunedì sera, il suo partito ha deciso di porre una sorta di ultimatum agli alleati chiedendo la sottoscrizione di un patto che prescinda dalla scelta del candidato presidente. Condivide?

«La situazione maturata è al limite del sostenibile. Il mio partito ha giustamente chiesto di ritirare gli aut aut perché si possa finalmente arrivare serenamente a una decisione comune. Anche lo statuto del Pd che qualcuno ha evocato rimanda alla coalizione una scelta che riguarda la coalizione, un partito da solo non può decidere per gli altri».

E se l’unico modo di sciogliere il nodo gordiano fossero le primarie?

«Il calendario ci è contro, ma se tutti condividessimo questa strada, la si può percorrere».

C’è chi ritiene ormai inevitabile la rottura della coalizione. La scelta del candidato presidente determinerà la coalizione?

«Sarebbe davvero triste. Il centrosinistra autonomista sta insieme da anni perché condivide valori comuni, sarebbe imperdonabile gettare tutto questo alle ortiche perché litighiamo su chi deve fare cosa. A maggior ragione pensando a quale alternativa si sta profilando per il Trentino».

Cosa, ad esempio, condividete?

«Il valore dell’Europa. Di un Europa che va radicalmente riformata ma che non può essere messa in discussione con leggerezza. L’emigrazione: oggi assistiamo a un fenomeno modesto, ma nel 2100 in Africa vivrà il 40% della popolazione mondiale. Un fenomeno di cui Europa e Cina dovranno occuparsi insieme, o pensiamo che possa essere gestito da Italia e Austria come singole nazioni? Magari il problema fosse rappresentato dalle 80 persone su un barcone che tanto occupano l’attuale governo».

Al vertice di domani bisogna decidere?

«Direi proprio di sì».