Nicoletti scuote i democratici: «Una follia chiudere a Ghezzi»

«Se fossi il centrosinistra autonomista, direi che se non ci fosse Paolo Ghezzi bisognerebbe inventarlo». Michele Nicoletti, padre nobile del Pd trentino, presidente dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e ora a capo della commissione elettorale del partito, pur evitando di esprimere preferenze dirette, lascia intendere che la candidatura dell’ex direttore de L’Adige non vada messa all’angolo. Anzi.
V. Leone, "Corriere del Trentino", 31 luglio 2018

Il suo è un endorsement a Ghezzi?

«Io dico che solo un pazzo direbbe di no a lui, che è di fatto l’unico elemento di novità e questo gli va riconosciuto. Che poi sia lui o meno il candidato presidente, penso che il Pd debba quantomeno mostrare apertura nei confronti di una persona che porta idee e che, pur venendo dall’esterno, ha un così forte sostegno».

Quindi pensa ci sia stata una chiusura nei suoi riguardi?

«Credo che in alcuni passaggi non siamo riusciti a esprimere sufficiente apertura e questo è profondamente sbagliato, perché i nostri elettori devono poter trovare spazio, e non porte chiuse».

Diciamo che molti «big» del suo partito vedrebbero di buon occhio un Rossi bis.

«Il presidente uscente ha governato in modo positivo, seppur talvolta attuando scelte a mio avviso sbagliate. La sua disponibilità a ricandidarsi credo che sia un valore aggiunto per la coalizione. C’è però un punto su cui sia Rossi che Ghezzi vanno richiamati».

Ossia?

«A entrambi occorre chiedere cosa vogliono fare in Trentino. Ci sono scelte che andrebbero indicate agli elettori. Ad esempio: su alcune questioni legate alla sanità ci sono state delle divisioni, bisogna sciogliere i nodi e spiegare come si intende procedere. Occorre quindi che ci sia una chiara definizione dei contenuti».

L’impressione è che il tempo stia per scadere e il Pd stia pericolosamente annaspando, manifestando un’incapacità cronica di decidere.

«Ho notato che c’è preoccupazione, ma eviterei di drammatizzare la questione dei tempi: è un tema rilevante ma faccio notare che nemmeno il centrodestra ad oggi ha ancora deciso. Ci sono tempi e riflessioni, siamo in una fase di transizione forte e credo sia giusto utilizzare tutti gli spazi a disposizione. Trovo inoltre che ci sia estrema concentrazione sul tema della leadership, ma mancano alcuni presupposti».

Cosa intende?

«Intanto occorrerebbe chiarire i confini di questa coalizione. Quelli che pretendono di sedersi al tavolo delle trattative e addirittura minacciare di andarsene devono dire chiaramente se ci sono o no. Nessuno ha il diritto di minacciare strappi senza però dire cosa farà. Il primo passo da fare è far firmare a tutte le forze che ci stanno un accordo, nel quale si dica anche che si accetterà qualsiasi candidatura scelta dalla coalizione, formata dai firmatari».

Lei prima parlava di contenuti, pensa che sino ad oggi siano stati assenti dalla discussione?

«Penso che si debba dire agli elettori se vogliamo una continuazione di questi cinque anni o se abbiamo delle innovazioni. Siccome il 4 marzo è stato espresso un disagio, e siccome credo che delle novità siano necessarie, dobbiamo esplicitare alcune cose. Poi c’è la questione del metodo».

Si riferisce ai rapporti tra alleati?

«Esattamente. Bisogna esplicitare come si lavorerà assieme. Episodi come quelli avvenuti in giunta. e mi riferisco alla rimozione di Donata Borgonovo Re, sono da non ripetere mai più. Quella lacerazione l’abbiamo pagata, e se una ricomposizione c’è stata lo dobbiamo soprattutto alla generosità della diretta interessata».

Ieri era prevista un’assemblea, poi rinviata a domani. La sensazione è che non uscirete con un nome, ma almeno con un metodo. Vede possibile l’opzione primarie?

«Il nostro statuto parla chiaro e dice che sono obbligatorie. Se si dovesse decidere per un metodo diverso servirebbe una maggioranza qualificata».

Il Patt ha già fatto capire che non sarebbe favorevole.

«Le primarie sono lo stesso strumento che ha portato Ugo Rossi alla candidatura cinque anni fa».

Lei però saprà quali sono i rischi di una chiamata al voto in agosto.

«Guardi, la democrazia ha tutte le regole necessarie per risolvere situazioni del genere. Quello che trovo poco intelligente, invece, è che si proceda con incontri poco chiari e trattative condotte nell’oscurità».

Lei manifesta una fiducia di fondo rispetto al nodo della candidatura, eppure avrà avvertito un certo malcontento tra gli elettori dem. In questo senso ha dei timori?

«Temo che si ripeta quello che abbiamo visto il 4 marzo. La piega sovranista e populista sarebbe suicida per il Trentino: se partiti come la Lega ci governassero ci riporterebbero a logiche nazionaliste e di chiusura. Comprendo la rabbia e il malcontento, ma non meritiamo una maggioranza che esprime valori simili. Come abbiamo visto con gli attacchi a Boeri, il rischio è di essere governati da chi pensa di controllare anche le idee. Una terra come la nostra invece ha bisogno di libertà».