«Ma è vero? Non è una fake news?». Dall’altro capo del telefono si sente una risata divertita. Poi Joan Busquets, l’urbanista catalano che quasi vent’anni fa firmò la variante al Piano regolatore del capoluogo «famosa» per la prospettiva del boulevard cittadino, si fa serio. E di fronte alle ultime — e forse insperate — prospettive che rilanciano l’interramento dei binari di Trento (Corriere del Trentino di ieri), torna con la mente al fermento dei primi anni Duemila.M. Giovannini, "Corriere del Trentino", 20 aprile 2018
Ricordando il percorso che, allora, aveva portato a immaginare una città senza la «barriera» della ferrovia. «Avevamo elaborato la proposta pensando che fosse possibile» sottolinea il docente, che dall’Università di Harvard, dove si trova in questo periodo (insegna alla Harvard Graduate School of Design), osserva con attenzione gli sviluppi del dibattito sul capoluogo trentino (di cui parla ancora, a distanza di anni, con una precisione che colpisce). «Per la città — assicura — questo progetto rappresenta un’occasione importante».
Professor Busquets, dunque l’interramento della ferrovia del capoluogo — e con esso il progetto di boulevard — è tornato di attualità. Dalla sua variante al Prg sono passati quasi vent’anni e l’opera sembrava quasi tramontata. È sorpreso?
«In realtà in questo campo non si sa mai cosa possa accadere. Nel Duemila avevamo presentato questa proposta pensando fosse possibile e fattibile: avevamo l’obbligo quindi di metterla sul tappeto. Poi per diverse variabili, tra cui la crisi, opere di questa portata possono rimanere ferme. Ma sono così evidenti che alla fine diventano necessarie. E in quel momento le decisioni devono essere prese».
Quindi considera l’interramento ancora necessario per Trento?
«Certo. In questo modo il meraviglioso centro storico di Trento potrà dialogare con le periferie. Senza contare il rapporto tra la città e il suo fiume: l’interramento è una grande opportunità che Trento non può e non deve perdere. C’è di più».
Prego.
«A Trento la ferrovia rappresenta un taglio. Se questo ostacolo verrà eliminato, anche il rapporto tra le parti est e ovest della città potrà prendere forma. E questo passaggio potrà preparare alla realizzazione dei corridoi verdi dalla collina al fiume».
Anche i corridoi verdi erano un’intuizione della sua variante al Prg, rimasti finora sulla carta. Sbloccare l’interramento, che era l’idea forte sulla quale poggiava il suo piano, potrà quindi dare il via alle proposte non ancora attuate?
«Non è proprio così. Il disegno non poggiava solo sulla ferrovia, anche se questa idea rappresentava un elemento importante. E va detto che alcune idee sono già state realizzate. Penso allo sviluppo tra il fiume e il centro: un esempio è il quartiere disegnato da Renzo Piano. Tra l’altro, con l’interramento dei binari anche il rapporto tra quel rione e la città diventerà molto più scorrevole».
Ma l’interramento è davvero fattibile?
«Le rispondo citando il caso di Delft (la città olandese alla quale Trento si era ispirata, ndr ). Abbiamo iniziato a discutere dell’interramento negli stessi anni in cui nasceva l’ipotesi anche nel capoluogo trentino. Delft è simile a Trento per dimensione e per la presenza di una forte università. Ma l’interramento appariva già allora più complicato, perché i binari avrebbero dovuto correre sotto il livello del mare. Eppure il progetto, che a occhio potrebbe essere 4-5 volte più costoso rispetto a quello trentino, è terminato lo scorso anno».
Quale può essere il ruolo dei privati in opere di questo tipo?
«Non conosco nel dettaglio la situazione attuale di Trento su questo aspetto.Un progetto di questa portata, evidentemente, può coinvolgere i privati: del resto, il pubblico non può pagare tutto. Ma l’importante è che il controllo rimanga in mano al pubblico. Faccio un esempio: la città storica di Trento è realizzata in gran parte dai privati. Ma è il sistema di controllo pubblico che assicura un risultato coerente».
Dalla sua variante sono passati 17 anni e ancora molte visioni rimangono inattuate. Quanto è ancora attuale uno strumento come il Prg, che appare statico all’interno di trasformazioni urbane sempre più rapide?
«Il Prg è uno strumento di cui abbiamo ancora bisogno, perché assicura una coerenza globale, stabilisce delle regole generali. Tenendo presente che in questo scenario 2 più 2 può non fare 4 ma 6: al calcolo si aggiunge un elemento in grado di andare al di là della mera immagine fisica. Il Prg, però, non risolve tutto».
Quindi?
«Ad un altro livello subentra il progetto urbano, che sviluppa più nel dettaglio le idee. Ma ci sono anche altri piani: penso al progetto architettonico. Ricordiamoci che la città non si costruisce dalla sera alla mattina. Ci vuole tempo. Ed è pensata su due o tre scale diverse, ognuna con una propria responsabilità. Il Prg, quindi, ha una componente politica, è aperto alla discussione. Mentre il progetto urbano ha una connotazione più morfologica».
Vent’anni fa di urbanistica si parlava anche nei bar: il «sogno» dell’interramento aveva acceso il dibattito. Oggi per la nuova variante l’interesse è molto minore. Un segno dei tempi?
«No. Rimango convinto che la partecipazione dei cittadini sia necessaria. Le grandi discussioni sul futuro della città devono essere pubbliche».
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