«Un regalo ai criminali contro la volontà democratica», «un provvedimento pericoloso», «la certezza della pena diventa un miraggio, con buona pace dei cittadini onesti», «l’ennesimo salva ladri». All’indomani di un deciso importante passo di civiltà, giungono dichiarazioni non equivoche che — sapientemente speculando in modo cinico, strategico e consapevole, su un diffuso sentimento d’insicurezza sociale — nel gridare e incitare allo sdegno, annunciano scenari sciagurati e drammatici per il «popolo degli onesti».
Andrea de Bertolini, Presidente dell'Ordine degli Avvocati di Trento, 18 marzo 2018
Ormai siamo abituati, la comunicazione spesso funziona con un modo tipico: non si affronta il problema, non ci si informa, non si conosce prima di replicare (non interessa), si assume, rispetto all’antagonista, un’aprioristica posizione contraria — meglio se populista e fortemente suggestiva — quindi, caricata «l’arma della parola», si spara a zero per raccogliere un consenso emotivo, incuranti dei danni collaterali. Nulla di nuovo. Ottimo esempio d’ingegneria sociale.
Con riferimento alla riforma dell’ordinamento penitenziario, tuttavia, possiamo tutti rassicurarci con serenità. I giudizi spesi contro il provvedimento, teso autenticamente alla salute dell’intera collettività, sono oggettivamente errati. Nessun regalo a criminali; nessuna incertezza della pena; nessun pericolo; nessun ladro salvato. Punti di vista? No, evidenze obiettive. Il presupposto è però un’informazione corretta.
Nel 2013 la Corte europea dei Diritti dell’uomo sentenzia come, nelle carceri italiane, detenute e detenuti vivano in condizioni inumane e degradanti. Ora, le parole, per alcuni (non molti per verità), sono ancora usate con precisione. Per inumano, quindi, intendiamo una condizione che travolge le norme della società e della convivenza calpestando i sentimenti e gli affetti corrispondenti; per degradante intendiamo una condizione avvilente, mortificante, che rende abietti, privando dell’onore e della dignità. Questo giudizio nel 2013 si abbatte sul nostro Paese, sulle nostre coscienze, ferendoci e umiliandoci in modo impietoso di fronte a quell’evidenza purtroppo ignota a molti «onesti cittadini». Carceri inumane degradanti in uno Stato di diritto in cui circa 70 anni fa la Costituente con nitore esemplare e autentica consapevole responsabilità politica, nell’interesse della società, sanciva nella Carta Fondamentale il principio per il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Nel 2018, ancora, la dimensione avvilente nella quale troppo spesso detenute e detenuti si trovano palesa come quella lacerante ferita si sia evoluta in una vera e propria piaga prossima alla cancrena.
Il dato è impietoso, ormai condiviso da chi sia informato, conosca e sappia di cosa si tratta: il carcere, luogo di oblio, per chi «vi resta passando», marchiato dallo stigma sociale dell’ex detenuto, è fattore di recidiva. Il carcere italiano è troppo spesso criminogeno: non solo non rieduca, ma è fattore rigenerante crimini per coloro che alla fine della pena rientrano nella società dei liberi.
La riforma riprende parte dei lavori della commissione ministeriale di esperti (presieduta dal professor Glauco Giostra, fra i più autorevoli esponenti dell’Accademia italiana, composta da avvocati, magistrati, accademici, funzionari del Ministero e dell’amministrazione penitenziaria) e va nel solco delle sintesi poste dagli «Stati generali dell’esecuzione penale», un gruppo composto da più di 200 tecnici periti che hanno lavorato per oltre un anno in 18 tavoli tematici. In aderenza alla delega parlamentare al governo, la riforma interviene dunque per riparare allo scempio quotidiano che in Italia si compie con frequenza nelle nostre prigioni. Un solo obiettivo non negoziabile e non fraintendibile, pertanto: garantire la salubrità dell’intera società dando attuazione al dettato costituzionale dell’umanità dei trattamenti e della rieducazione della pena.
Il testo della riforma non si applica a rei di mafia, terrorismo e associazioni criminali. Da un lato valorizza le opportunità di lavoro esterno per i detenuti, dall’altro dà maggiore rilevanza a forme di esecuzione della pena che garantiscano un effettivo progetto di reinserimento sociale e rieducazione, anche con rinnovata tutela delle vittime dei reati. Il lavoro è presupposto del reinserimento sociale. L’accesso alle misure alternative alla detenzione abbatte la recidiva: chi sconta la pena in carcere è recidivante nel 70% dei casi, mentre chi fruisce delle misure alternative recidiva nel 19% dei casi. La riforma valorizza la funzione della magistratura di sorveglianza, la quale, in un dialogo responsabile e reciproco con l’avvocatura, ne garantirà una giusta applicazione. Questo il contenuto in sintesi. Un contenuto opposto a quello che si vuol far pensare.
L’avvocatura, nell’interesse dei cittadini, da sempre si batte per una comune cultura della legalità, dei diritti e della pena. Urge però ora una priorità: per prima cosa, informare correttamente i cittadini rispetto a irresponsabili flussi di comunicazioni che, semplicemente, mistificano la realtà. La formula apposta sui bugiardini risuona come un mantra. Prima di utilizzare certi prodotti comunicativi, leggere bene le avvertenze e le modalità d’uso: prestar fede a notizie false è nocivo. Per la salute della società e per la salute stessa di ogni individuo che se ne nutra in buona fede in modo inconsapevole.