C’era solo lui, in mattinata, ad abitare le sale di via Torre Verde. Le porte del Pd si sono chiuse con mestizia all’alba di ieri, per poi riaprirsi a qualche ora di distanza. Nel silenzio, il capogruppo Alessio Manica non ha fatto mancare presenza e onestà. «Un disastro», dice pensando ai risultati che hanno scosso il Nazareno. Ma se il «renzismo» è imploso nei suoi difetti, spiega, persino la coalizione tutta, in Trentino, oggi si rivela monca.M. Damaggio, "Corriere del Trentino", 12 marzo 2018
Partiamo dalla fine: cos’è accaduto?
«Dopo dieci anni, il Pd si trova nel momento peggiore della sua storia e Renzi ci riconsegna un partito, nato con ambizioni maggioritarie, distrutto nel proprio rapporto con il Paese. In Trentino arretriamo nella stessa misura e ciò dimostra la progressiva omologazione nazionale. Ora dobbiamo riflettere e scegliere la strada da cui ripartire».
Si parte dalle dimissioni di Renzi.
«Qualsiasi segretario dinnanzi a un disastro di queste dimensioni lascia libero il proprio partito di decidere. Anche a livello provinciale. Io sono membro di diritto del coordinamento, ma moralmente sento di rimettere il mio mandato. Serve grande umiltà e il Pd dev’essere messo nella condizione di ripartire. Ma, attenzione, lo stesso vale per la coalizione».
Patt deludente in val di Sole e Non, Civica Popolare orfana di 50.000 preferenze. Cosa accadrà, ora?
«Mi aspetto che la maggioranza si sieda attorno a un tavolo subito e in maniera sincera analizzi quanto successo. La coalizione nasce con tre anime: una riformista, una popolare e una autonomista. Se una gamba diventa quasi insignificante, ossia quella popolare, e quella autonomista delude, si presenta un problema che non possiamo trascinare fino a ottobre».
Si riapre la riflessione sulla presidenza?
«Le primarie hanno consegnato un’anomalia politica: una guida, di cui non discuto la qualità, che è espressione del partito più piccolo. In ogni caso non partirei da qui. Il voto chiede uno scatto, se non cambiamo la formula saremo convincenti?».
Tornando al Pd: quali gli errori?
«Ce ne sono stati tanti. Io non ho condiviso l’uscita di Leu, la battaglia si fa dentro. Poi s’è capito che fuori dal Pd c’è solo l’insignificanza e la testimonianza pura. Oggi paghiamo il renzismo, ne abbiamo raccolto i frutti solo nel primo periodo. Quel modello accentratore, legato alla comunicazione e all’immagine, di fatto ha dimenticato il radicamento del partito e ha smantellato il confronto».
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