«Il centrosinistra autonomista deve avviare un check up completo sul suo stato di salute. Con un tema centrale: l’Upt. Se le percentuali sono quelle viste alle Politiche, è un allarme per tutti». Alberto Pacher tratteggia un quadro articolato: di fronte alla debacle della coalizione di governo nella tornata di domenica, l’ex vicepresidente della Provincia ripercorre gli errori — nazionali e locali — della campagna elettorale.
M. Giovannini, "Corriere del Trentino", 11 marzo 2018
E guarda all’appuntamento alle urne di ottobre. Senza nascondere i timori. E lanciando una proposta concreta: Pd e Upt, in prospettiva, «potrebbero creare una forza unica, connotata in campo progressista e radicata sul territorio».
Partiamo dall’esito del voto. Si aspettava un risultato del genere, per il Pd, a livello nazionale e locale?
«Il risultato era nell’aria. E, onestamente, il Pd nazionale ha fatto di tutto per mettersi in questa situazione: l’assenza di una riflessione seria dopo l’esito del referendum non poteva che portare a questo punto. Il nodo sta proprio qui: a livello nazionale non è stata gestita la fase post-referendaria. E, del resto, questo è il modo di Matteo Renzi di interpretare la leadership: la conferenza di annuncio delle dimissioni, subito congelate, è stata emblematica della persona. Ma la gestione Renzi è solo una causa del risultato elettorale. Il Pd ha sottovalutato l’allarme sui flussi migratori, il disorientamento nei settori più in difficoltà della popolazione, in un vento che sta soffiando a livello non solo nazionale».
E in Trentino?
«C’è un elemento che ha condizionato l’esito del voto in provincia: l’assoluta scomparsa dell’elettorato dell’Upt. Dov’è finito? Di sicuro non nelle altre forze di centrosinistra autonomista».
Anche il risultato del Patt non ha convinto.
«Eppure gli esponenti autonomisti si sono dati da fare. Per questo dovranno riflettere molto. È vero che, nel loro caso, il voto locale è molto diverso da quello nazionale, ma l’assenza di personaggi importanti ha pesato: penso a Moltrer, ma anche a Kaswalder, la cui uscita non è stata indolore e non può considerarsi bilanciata dall’ingresso di Viola. Ora, dunque, alla coalizione raccomando di avviare una riflessione più approfondita: è vero che il centrodestra ha vinto, ma è altrettanto vero che in alcuni casi la sconfitta ce la siamo cercata. Senza contare che, anche in Trentino, si vedono segnali poco incoraggianti».
Quali?
«Si sta assistendo a dei mutamenti di sistema. E, personalmente, sono molto preoccupato dal cedimento di alcuni asset, che mi avevano già fatto presagire il risultato elettorale. Penso, ad esempio, alla gestione della Cooperazione nella vicenda degli esuberi del Sait: la Cooperazione non può gestire questa partita come farebbe Amazon. Deve mostare una differenza. Così come la vicenda Itas. Se iniziano a vacillare gli assi portanti, il sistema può cadere. Tutti questi fattori ci espongono al rischio di perdere la nostra anomalia».
Come invertire la rotta?
«Parto dal Pd e dico che serve una riflessione profonda. Il percorso che ha portato alle elezioni è stato imbarazzante. Non ricordo un’altra occasione in cui si è andati a Roma con la lista dei nomi per le candidature e hanno deciso lì. Ma l’ultima delle cause del risultato è la gestione della segreteria da parte di Gilmozzi. Il Pd è un partito nel quale quando le cose vanno male si dice “bisogna tornare tra la gente”. Lo ha detto anche Renzi in conferenza stampa. Quasi offensivo: non si ragiona mai sul perché finora non lo si è fatto. Per questo dico: serve un’analisi per capire se siamo in grado di interpretare la realtà e di rappresentare chi è in difficoltà. E lo stesso deve fare la coalizione».
Il timore è che alle Provinciali si ripeta quanto accaduto domenica.
«Più ci si avvicina all’elettorato, più contano le persone. È un dato di fatto. Ma saranno fondamentali la selezione dei candidati e la proposta di un pacchetto di rilancio che dica dove vogliamo andare. La coalizione deve fare un check up completo. E il tema dell’Upt sarà centrale: il partito dovrà individuare una leadership. Di più: credo che siano maturi i tempi per pensare alla creazione di un soggetto connotato in chiave locale, frutto di un ragionamento del Pd con l’Upt, ma anche con l’associazionismo, i sindacati».
Intende la creazione di un’unica forza tra Pd e Upt?
«Perché no? Bisognerebbe iniziare a parlarne. Una forza connotata in campo progressista, radicata sul territorio».
Rossi va ridiscusso?
«Mettere in discussione Rossi in base all’esito delle Politiche non ha senso».