Non mi chiederete di nuovo se mi candido, spero». Alessandro Andreatta inizia con una battuta (ma nemmeno poi tanto campata in aria). Seduto al tavolo del suo ufficio, dopo il tradizionale scambio di auguri con la stampa, il primo cittadino scherza sul «tormentone» degli ultimi mesi. E spiega: «La mia non è una fuga, ma ho sempre pensato che in politica si debba stare per un determinato tempo, non per tutta la vita».
M. Giovannini, "Corriere del Trentino", 29 dicembre 2017
Anche se la politica è la sua grande passione: quando ne parla — interrogato sulle prossime elezioni o sulla situazione del Pd — non è difficile scorgere la scintilla. «Spero che questi mesi servano al Pd per uscire dalle urne come primo partito» sottolinea il sindaco. Che non nasconde la sua fiducia in Paolo Gentiloni: «Mi ritrovo molto nel suo modo di agire». Sul piano provinciale, Andreatta è sicuro: «Non c’è un’alternativa valida alla coalizione così com’è oggi». Con un invito: «Il dibattito sulla conferma alla presidenza di Ugo Rossi prima o poi dovrà chiudersi».
A proposito: il governatore ha dichiarato che «il sindaco non ha mai avvertito un grande bisogni di tenersi in contatto con il presidente della Provincia». È così?
«In realtà io mi rapporto bene con tutti. Con Daldoss abbiamo lavorato sul fronte urbanistico. Ci siamo sempre capiti bene con Mellarini e Gilmozzi, con Olivi per partite legate al lavoro e con Ferrari per l’università. Anche con Zeni per il sociale. Ho sentito un po’ meno Dallapiccola, ma per una questione di competenze. Chi manca?».
Rossi.
«Non ho alcuna difficoltà con Rossi, ma mi succede di dialogare di più con gli assessori a seconda dei settori. Non credo ci siano problemi istituzionali tra di noi, anche se poi ognuno tutela la propria istituzione, è evidente».
Che il clima non sia idilliaco però è cosa nota.
«Dei momenti di conflittualità sono fisiologici. Succedeva anche tra Dellai e Andreotti e tra Pacher e Dellai. Il conflitto ci può stare, se porta a una mediazione e a equilibri più avanzati. Del resto la politica è guardarsi in faccia, provare emozioni, discutere, arrabbiarsi, trovare un’idea e poi ripartire. Senza rancori».
Secondo Rossi in questi anni c’era bisogno di riequilibrare il rapporto tra città e periferie. È d’accordo?
«Non sono poi così sicuro che Trento abbia avuto tutti questi vantaggi, in passato. Vedo nelle valli ciclabili, scuole, strutture sportive: mi sembra che non stiano proprio male. Per quanto ci riguarda, in città abbiamo ancora alcune cose alle quali pensare».
Quali?
«Sul fronte delle strutture sportive, dopo il centro natatorio, rimane aperta solo la partita degli spazi per la ginnastica».
E la localizzazione dello stadio Briamasco.
«Sì. L’ipotesi di San Vincenzo va valutata. L’area è compatibile per campi di allenamento per le giovanili. Ma uno stadio — augurando al Trento calcio un po’ più di fortuna: io ho fiducia — è una struttura importante: si deve capire cosa si trascina dietro in termini di funzioni. Una cosa è certa: lo stadio non può essere realizzato in Destra Adige».
Quali sono gli altri nodi aperti?
«Ci sono alcune circoscrizioni che attendono interventi: penso a Villamontagna con il centro civico o a San Donà con la piazza. O all’ex Atesina. E poi ci sono le tre ipotesi che dovremo discutere in commissione bilancio: l’eventuale aumento delle tariffe, l’introduzione di una tassa di scopo per finanziare un’opera in città o l’assunzione di uno o due mutui per degli interventi».
Intanto in città si continua a parlare di sicurezza. Anche il Patt, nella sua conferenza di fine anno, ha insistito su questo problema.
«Nel 2018 assumerò qualche nuovo vigile a tempo indeterminato. Poi promuoveremo attività di formazione nelle scuole per prevenire ogni forma di dipendenza. Lavoreremo inoltre in contatto più stretto con le altre forze dell’ordine e penso a una battaglia più dura contro le scritte sui muri».
In che senso?
«Bisogna cercare di cogliere queste persone sul fatto e far pulire a loro le facciate, diffondendo le fotografie. Un po’ come succede per gli attori americani messi ai lavori sociali».
Quali sono le altre priorità del nuovo anno?
«A febbraio porterò gli obiettivi di piano del Prg: dopo la votazione si andrà verso la prima adozione. Poi c’è il tema della mobilità, che procede in stretto rapporto con il Prg: a gennaio il vicesindaco relazionerà in commissione su Nordus, Ring e collegamento con Povo in vista di una seduta del consiglio ad hoc. Nel 2018 si parlerà anche di agricoltura, di turismo e di cultura: a gennaio in giunta rifletteremo sul futuro dell’ex sede di Lettere. C’è poi un tema che mi sta molto a cuore: quello della povertà. C’è ancora molta gente che fa fatica. Con l’assessora Franzoia cercheremo di capire cosa possiamo fare».
Nella discussione al bilancio qualcuno ha accennato alla sua «solitudine». Cosa risponde?
«Chi porta responsabilità di governo, in una carica monocratica, sperimenta un po’ di solitudine. Ci sta. Ma non è così pesante. Mi dispiace quando qualcuno mente sapendo di mentire o dice solo una parte di verità. Ma non mi arrabbio quasi più ormai. Aveva ragione Alberto Pacher quando mi diceva che per guidare una città servono ascolto, pazienza e buonsenso».
Passiamo alla politica. Il 2018 sarà anno elettorale. Come vede il Pd?
«Il Pd è il partito più strutturato: la sua forza è quella di avere idee su tutto lo scibile amministrativo. Ha una sua ricchezza. Mi auguro che questi mesi prima delle Politiche servano per consentire al Pd di uscire dalle urne come primo partito e provare a formare un governo».
Con quale premier?
«Ho apprezzato Gentiloni. Non era una scoperta: è una persona sempre pronta al dialogo, sobria. Crede nella mediazione fino all’ultimo. Mi ritrovo molto in lui».
In autunno poi ci saranno le provinciali.
«Credo che non ci sia un’alternativa valida alla coalizione così com’è oggi. Si potrà allargare solo se Pd, Patt e Upt saranno d’accordo».
Intanto si discute sul Rossi sì-Rossi no.
«Un dibattito che a un certo punto si dovrà chiudere. Nel mio caso si era deciso 7-8 mesi prima del voto. Prima si definiscono politicamente le cose, più serenità c’è all’interno della coalizione, pur in una competizione che ci può stare».
Le faccio la fatidica domanda: si candiderà?
«No. Ma non perché sono annoiato dalla politica. Non è una fuga. Credo solo che in politica si stia per un determinato periodo. Poi basta. Tornerò a insegnare: mi mancano quattro anni. So che sarà dura, me l’hanno detto. Ma ce la farò. Ho fatto 19 anni in giunta: dal dopoguerra sono stato il più longevo nell’esecutivo. Può bastare. Alberto Goio mi diceva: “Oggi ti sembra di non riuscire a fare tutto. Ma poi, quando non sarai più sindaco, le giornate ti sembreranno vuote”. Le riempirò con le cose belle della vita».