L’equo compenso è un provvedimento importante perché ritorna la giusta dignità alle prestazioni lavorative e riafferma la necessità di adeguata rimunerazione. L’approvazione in Senato dell’emendamento sull’equo compenso nel corso dell’iter di conversione del decreto fiscale 2017, collegato alla manovra di bilancio, è stato salutato da tutte le categorie legate alla libera professione — ordinistiche e non — con grande soddisfazione.Giulia Robol, "Corriere del Trentino", 25 novembre 2017
Inizialmente il governo pareva non aver compreso l’importanza e l’interesse verso il provvedimento. Poi, però, grazie anche a una mobilitazione messa in campo dalle categorie tecniche — in prima fila, Marina Calderone, presidente del Comitato unitario delle professioni, e Armando Zambrano, alla guida della Rete delle professioni tecniche — l’iter ha preso una piega diversa.
Il ministro della giustizia Andrea Orlando, che già per gli avvocati si era detto favorevole alla norma, ha ribadito più volte la necessità di una conclusione positiva del percorso. Il risultato era da lungo tempo aspettato, da quando il processo di liberalizzazione attuato dall’allora ministro Bersani, poi proseguito con il presidente Monti, aveva certamente indebolito la capacità competitiva, qualitativa e ideativa del lavoro intellettuale, rendendola esclusivamente subordinata a un mercato governato da ribassi incredibili, che ha di fatto condotto a un’assenza di tutela della prestazione lavorativa stessa.
Ora, concordo perfettamente con l’editoriale di Roberto Bortolotti, pubblicato sul Corriere del Trentino di giovedì, quando sottolinea come l’abolizione delle tariffe sia stata anche motivata da un principio, a mio avviso ideologico e non più attuale, di «visione del professionista medio, come soggetto privilegiato». Principio valevole forse un tempo, quando il mondo del lavoro si distribuiva su categorie consolidate (il mondo operaio, la classe imprenditoriale, quella impiegatizia) e il processo di scolarizzazione nel nostro Paese non riportava dati di diffusione media di accesso alle facoltà universitarie come quelli di oggi. E ancora, quando la distribuzione del sapere era certamente meno diffusa.
Il mondo del lavoro, nel tempo coevo, è molto più complesso, più flessibile nonché assolutamente e necessariamente molto dinamico. L’esigenza spesso di essere duttili è quasi obbligata, se si risponde alle regole che il mercato impone. Ciò porta molti giovani che non riescono a impiegarsi in un mercato più tradizionale a sperimentare le possibilità di incubatori d’impresa, start up e iniziative che hanno come fulcro la riconoscibilità di un processo ideativo.
C’è allora bisogno di riaffermare con forza il valore fondante, in tema di lavoro, della qualità dell’idea, del pensiero, del ragionamento. Le buone idee possono cambiare le cose e portare sviluppo, ma devono avere riconoscibilità e supporto all’interno del mercato del lavoro, e naturalmente deve loro essere riconosciuto un equo compenso. Non è un principio da sottovalutare, ma da riconoscere con grande sostegno.
La recente sentenza della Cassazione che aveva riconosciuto la gratuità di prestazione lavorativa prevista da un bando pubblico in un contenzioso tra il Comune di Catanzaro e Ordini professionali poteva rappresentare un precedente pericoloso nell’indebolimento anche di quel principio previsto dalla Costituzione all’articolo 36 laddove si afferma che la retribuzione deve essere correlata alla qualità e alla quantità del lavoro prestato.
Credo che l’equo compenso sia un provvedimento molto importante perché ritorna la giusta dignità alle prestazioni lavorative e riafferma la necessità di corresponsione di una rimunerazione proporzionata alla quantità e alla qualità dell’opera svolta, al contenuto e al merito della prestazione professionale.
E credo anche che debba avere la giusta attenzione da parte delle istituzioni. Confido inoltre che il processo possa arrivare alla fine integro e senza distorsioni.
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