Serve il «Pd davvero» per costruire, insieme agli italiani, un futuro di speranza e di fiducia

Non è più rinviabile l'avvio di una seria costruzione di un Pd «nuovo» anche nella forma organizzativa, nel linguaggio e nelle relazioni politiche e sociali. Costruzione che non può che muovere da un riconoscimento.
Piero Fassino, 17 novembre 2017


Dal riconoscimento, cioè, che una politica non può realizzare i suoi obiettivi se non si dà strumenti e organizzazione per affermarla. Tanto più se si vuole perseguire e realizzare una politica di riforme che - per definizione - modifica gli assetti esistenti, mette in causa rendite di posizione e interessi consolidati, obbliga a cambiare abitudini, stili di vita, modi di pensare. E non è affatto scontato che una riforma giusta nei suoi contenuti e nelle sue finalità raccolga consenso e adesione in chi ne è destinatario.
Il Jobs Act ha consentito l'accesso al lavoro di quasi un milione di persone - in grandissima parte giovani - eppure è stato e continua a essere oggetto di contestazioni. La riforma della scuola ha realizzato la più grande stabilizzazione di lavoratori precari che mai si sia fatta in Italia, eppure una parte di insegnanti l'ha contestata. Il che ci dice che ogni riforma ha bisogno di essere «gestita» nella fase in cui la si elabora, nei passaggi parlamentari, nella sua implementazione concreta, nei suoi impatti sulla vita delle persone. Ma questo compito non lo assolvono né il governo che esaurisce la sua azione nel predisporre la riforma, né il Parlamento che esaurisce la sua azione nell'esaminare la riforma e licenziarla, né l'amministrazione statale che esaurisce la sua funzione nell'applicare la riforma. Il compito e la responsabilità di gestire una riforma non può che essere in capo a un soggetto politico, che faccia vivere la riforma in un concreto rapporto con i cittadini e coloro che ne sono direttamente investiti. Per questo serve un partito.
Serve un partito che abbia «l'orecchio a terra» e si apra a un dialogo permanente con la società e lo faccia con «umiltà» interloquendo con i molti saperi si cui la società è ricca e così, senza presunzioni o arroganze, promuova una classe dirigente su merito e capacità. Un partito la cui vita democratica sia fondata su un confronto di idee e programmi perché chi si definisce «democratico» non può non riconoscere il valore del pluralismo, a condizione che sia articolazione di sensibilità culturali e politiche e non filiere personali finalizzate alla sola gestione del potere.
Un partito che si riconosca nel suo leader - cosa naturalmente indispensabile - ma anche in un gruppo dirigente ampio e plurale, capace di parlare alla società e dalla società riconosciuto. Un partito che apra ai saperi della società e fondi il rinnovamento, anche generazionale, su una politica di formazione, perché se va rifiutata la politica come «mestiere», è altrettanto vero che la politica - come qualsiasi attività umana - richiede conoscenze, competenze, studio ed esperienza.
Un partito che abbandoni l'interpretazione della vocazione maggioritaria come autosufficienza e sviluppi e modernizzi invece la propria capacità genetica di attirare a sé le migliori energie del cambiamento, dei territori e delle articolazioni sociali, per costruirne squadre leali e vive. Un partito che assuma le forme di democrazia diretta, a partire dalle primarie, non per misurare i rapporti di forza interni, ma per rendere i cittadini protagonisti e costruire coalizioni larghe e inclusive, aprendosi così alla «cittadinanza attiva» di quanti vogliono mettere a disposizione di un impegno politico le proprie capacità e il proprio sapere. Un partito i cui eletti considerino prioritario costruire soldi e costanti legami con il territorio e con i tanti interessi intorno a cui società organizza la propria vita.
Un partito che promuova e valorizzi la partecipazione dei cittadini e riconosca il valore di tutte le forme di cittadinanza attiva, di civismo, di impegno sociale, riconoscendo nella dedizione, nell'impegno personale, nella passione, nella generosità valori essenziali perché un partito sia comunità.
Un partito riscopra il valore dell'unità, non come conformismo, ma come consapevolezza che un partito è prima di tutto una comunità fondata su comuni valori e su un comune destino. Il che richiede da parte di ciascuno la tensione a ricercare sintesi e unità con la stessa determinazione con cui si affermano le proprie opinioni. Separazioni e scissioni appartengono anch'esse a un altro tempo della politica, tanto più oggi quando al Pd e al centrosinistra gli elettori chiedono coesione, responsabilità e unità.
Dai passaggi stretti che devono attraversare, Europa e sinistra riformista possono uscire solo insieme. D'altra parte così come nessun riformismo è praticabile a livello nazionale senza un soggetto che lo rappresenti e lo faccia vivere, ciò vale anche a livello europeo: serve un soggetto che guidi la ristrutturazione e la riorganizzazione della sinistra e del più ampio campo progressista e contribuisca così alla riforma dell'Unione Europea.
La proposta avanzata da Matteo Renzi di promuovere primarie aperte a tutti gli elettori del continente per scegliere il candidato alla presidenza della Commissione può essere l'occasione per avviare una stagione nuova del riformismo europeo.
E, infine, un partito che collochi la sua politica in orizzonti larghi, perché se le sfide che stanno di fronte al riformismo hanno carattere globale, che il ripensamento della sinistra non può che avvenire su scala globale. È compito ancora più arduo per la varietà delle storie e delle identità del vasto campo dei partiti progressisti e dei sistemi politici in cui operano. E tuttavia le diversità non possono offuscare che la mondializzazione pone sempre di più problemi globali a cui si devono dare soluzioni globali.
Un partito che abbandoni la tristezza e la seriosità che grava come una cappa da troppi anni sulla sua immagine a dispetto di uno stile popolare, sereno, sempre aperto al confronto e al dialogo, perché il cambiamento senza l'innamoramento e il sogno non esiste, né si realizza, tantomeno si condivide e si guida.
Insomma serve il «Pd davvero» per costruire, insieme agli italiani e alle loro migliori energie, un futuro che torni a essere il luogo della speranza e della fiducia