L’idea l’aveva avanzata a gennaio. Ora, a fronte dell’accordo politico sottoscritto da Pd e Upt, Giorgio Tonini la rilancia: «Una forza democratica e popolare territoriale confederata con il Pd nazionale». A quasi dieci anni dalla nascita del Partito democratico del Trentino senza quella che allora si chiamava Civica Margherita, sarebbe la conclusione di un percorso. Con una differenza: questa forza non si chiamerebbe più Pd. «Un Pd trentino che si confedera con il Pd nazionale mi è sempre parsa ginnastica sul posto» ribadisce il senatore.
T. Scarpetta, "Corriere del Trentino", 3 novembre 2017
Il Rosatellum è la migliore delle leggi elettorali possibili?
«Io continuo a credere che l’italicum fosse meglio perché garantiva stabilità di governo. Si disse che accentrava troppo il potere. Abbiamo allora proposto il tedeschellum, ma anche quello è stato affossato. Ora i 5 Stelle gridano di nuovo al colpo di Stato, ma confesso di non aver ancora capito quale legge elettorale vorrebbero. È come se nei loro posti in Parlamento non ci fosse il tasto verde. Al momento, la coalizione che parte in vantaggio è il centrodestra».
Colpisce, per usare un eufemismo, questo rapido susseguirsi di modelli elettorali tra loro anche assai diversi.
«In Italia vorremmo avere i pregi dei sistemi maggioritari, scelta del premier e stabilità, ma non accettiamo che chi vince possa governare per cinque anni. Ci piace la rappresentanza democratica del proporzionale, ma se poi le maggioranze occorre comporle in Parlamento parliamo di inciucio. La Francia, dove Macron è stato votato al primo turno dal 32% dei francesi, da tempo crede nel maggioritario. In Germania regna il proporzionale e nessuno si scandalizza se Merkel ha governato per anni con la Spd del suo principale avversario e ora si trova a mettere assieme verdi e liberali».
Ora il Rosatellum è legge, il Pd dovrà mettere in campo una coalizione?
«Siamo al lavoro per costruire alleanze, vediamo cosa succederà».
State cercando alleati all’interno di un perimetro che, fino a poco tempo fa, era il perimetro del Pd.
«Purtroppo è così. In Italia, chi governa vede le proprie forze dividersi. Fu così anche per Berlusconi».
Al di là degli slogan, nessuno vede oggi uno dei tre poli in grado di ottenere la maggioranza. Il M5S non farà alleanze. L’unica prospettiva è quella di un «governissimo» Pd-Fi?
«Nessuno, ad oggi, sembra in grado di ottenere il 40% dei listini e il 70% dei collegi uninominali, percentuali necessarie per avere la maggioranza in Parlamento. La mediazione è la prospettiva più probabile».
Significa buttare via una legislatura?
«Non è detto. Anche questa legislatura è andata così e le riforme non sono mancate, soprattutto con Renzi premier».
In ogni caso, come insegna il crollo della Spd in Germania dopo il governo insieme a Merkel, arrivare primi o secondi non è la stessa cosa.
«Certo che no, per questo è importante che il Pd si affermi come la prima forza».
A livello locale, l’opposizione accusa il Rosatellum di consegnare un «cappotto» nelle mani del centrosinistra.
«Davvero curioso: nel ‘94, con i collegi, un semi-cappotto lo fece Berlusconi. Ora loro si dichiarano già sconfitti proprio nei collegi. Per vincere, servono i voti».
Possibile, come suggerisce Marco Boato su l’Adige, che in una logica nazionale dobbiate assegnare un collegio a un candidato né del Pd, né di Patt o Upt?
«Tutto è possibile, fermo restando che nei collegi bisogna scegliere i candidati migliori. Togliamoci dalla testa che chiunque candideremo sarà eletto. Sarebbe un grave errore».
L’unica novità politica che si scorge in Trentino è l’accordo tra Pd e Upt. Un mero accordo elettorale in vista delle politiche?
«No, noi non abbiamo proposto all’Upt un accordicchio elettorale. Personalmente, rilancio quanto dissi in un intervista sul vostro giornale a gennaio: occorre una forza politica autonomista e territoriale confederata con una grande forza nazionale come il Pd. Il Patt legittimamente rivendica un rapporto privilegiato con la Svp, testimoniato anche dall’ottimo rapporto di Rossi con Kompatscher, credo che le aree democratiche e popolari che hanno fondato l’Ulivo possano trovare il modo di rappresentare il secondo pilastro di un’alleanza che è solida in regione come ha dimostrato di esserlo in questi anni a Roma. In pochi lo hanno sottolineato, ma i nostri parlamentari non hanno avuto un solo motivo di dissidio».
Ha cambiato idea, rispetto al passato, sulla territorialità?
«No. Ho sempre pensato che un Pd trentino che si confedera col Pd nazionale sia ginnastica sul posto. Cosa diversa è se l’Upt e altre aree anche civiche convergono nel dare vita a una forza politica nuova. Dirò di più: credo che in questo noi si possa essere laboratorio per un Pd nazionale che, a livello di partito, appare un po’ in affanno. Un rilancio potrebbe passare da una nuova forma di partito non più novecentesca basata su un rapporto federativo con il Pd nazionale».
L’alleanza tra Pd e Upt sposta l’asse della coalizione. Significa che Rossi non potrà più essere candidato presidente?
«Non vedo alcun automatismo. Piuttosto: in molti abbiamo lamentato una mancanza di visione in questa legislatura, ma non mi sembra corretto scaricarne su Rossi la responsabilità. Questa nuova area politica potrebbe dare quel colpo d’ala di cui la coalizione ha bisogno. Poi decideremo se altri cinque anni per Rossi sono la scelta più ragionevole, o meno».
Poi quando? C’è chi ha fretta.
«Deciderà la coalizione. La mia idea personale è dopo le politiche e insieme al Patt, che con la Svp è e resta un alleato prezioso».
Lei ha parlato di candidati forti nei collegi. È sicuro che la sua esperienza parlamentare sia finita?
«Credo che noi si debba fare come i vescovi, che a 75 anni danno le dimissioni. Poi il Papa decide se tenerli ancora un po’. Io ho fatto tre legislature e mezza, se mi venisse chiesto di restare, ci rifletterei, ma non credo succederà. In ogni caso, né l’Italia né il Trentino andranno a rotoli senza Tonini».
C’è chi, come Donata Borgonovo Re, la propone direttamente per la presidenza della Provincia.
«Non posso che essere lusingato se qualcuno fa il mio nome per un incarico che è sì massacrante — e dell’impegno dobbiamo ringraziare oggi Rossi come ieri Dellai — ma che è anche un grande onore. Una simile prospettiva solletica chiunque, ma devo tenere i piedi per terra: mi pare improbabile che possa essere chiamato a svolgere quel ruolo».