Nel giorno dell’approvazione in Senato del Rosatellum, un commento sul nuovo sistema elettorale lo lascia: «È quello che è, ma è meglio del precedente. Il ricorso alla fiducia, però, mi ha messo a disagio». E a pochi giorni dai referendum sull’autonomia di Veneto e Lombardia, ammette di vedere il bicchiere «più che mezzo pieno». Ma è sulla situazione politica locale che Alberto Pacher si sofferma di più.M. Giovannini, "Corriere del Trentino", 27 ottobre 2017
Guardando con favore all’accordo tra Pd e Upt («Va nella direzione giusta»), ma con un occhio all’intera coalizione: «Adesso il centrosinistra autonomista ha bisogno di ritessere la trama tra le tre gambe principali». Senza tacere un obiettivo. Quasi un sogno: «Quando ho iniziato — dice l’ex vicepresidente della Provincia ed ex sindaco — le forze politiche avevano investito sul futuro, scegliendo me e Lorenzo Dellai per la guida della città. Sarebbe bello vedere qualcosa del genere anche oggi».
Partiamo dalla notizia di giornata. Il Rosatellum è legge. Come giudica questo nuovo sistema elettorale?
«È quello che è. Ma ormai è fatta: meglio questa legge di quella di prima, mi verrebbe da dire. Anche se, devo ammetterlo, il ricorso alla fiducia mi ha messo a disagio. È stata una forzatura. Su questo mi sono riconosciuto nelle parole dell’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano».
L’altro passaggio che in questi giorni ha animato il dibattito politico nazionale è stato l’esito dei referendum in Veneto e in Lombardia. L’affluenza è stata alta. Come vede questo risultato?
«Direi che dai referendum sono arrivate buone notizie. Certo, nella richiesta di avere più autonomia può nascondersi di tutto: dalla volontà di avere più responsabilità a spinte più egoistiche. Ma bisogna sforzarsi di vedere il bicchiere più che mezzo pieno. Quando regioni economicamente importanti e generalmente con una buona amministrazione come Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna si muovono nella direzione di una maggiore autonomia sono da guardare con simpatica attenzione».
L’Emilia Romagna però ha preferito non passare per il referendum.
«È vero. Ma personalmente non sono contrario ai referendum in questi casi. Anzi: questi passaggi hanno bisogno di momenti simbolici».
Ci sono state reazioni ambivalenti.
«Secondo me invece dal referendum possono arrivare buoni segnali. Possono mettere in moto riflessioni anche in altre regioni. Penso alla Sicilia: è una regione speciale, ma tutto è fuorché un esempio di efficienza. Ancora: questi passaggi non preludono alla secessione o alla bancarotta dello Stato».
Eppure le dichiarazioni di Zaia hanno fatto scalpore.
«Fanno parte del gioco della politica».
E dell’atteggiamento del Pd sui referendum cosa dice?
«Il Pd ha lasciato la partita in mano ad altri. Ha sbagliato: non si è reso conto del valore simbolico di questo passaggio. Credo che su questo tema serva una puntualizzazione. Non si deve avere paura di queste richieste di autonomia: vanno viste come un’assunzione di responsabilità da parte delle comunità locali. L’Italia è un paese maturo. Sta allo Stato nazionale garantire dei processi federalisti bilanciando il sistema complessivo».
In Trentino intanto tiene banco il confronto interno alla coalizione di maggioranza. Come vede l’accordo tra Pd e Upt?
«Lo considero un passaggio importante nella direzione giusta. Ma la coalizione, ora, ha bisogno di ritessere la trama tra le sue tre gambe principali».
Quindi anche con il Patt.
«Che, tra l’altro, esprime il presidente in carica. Mi rendo conto che qualcuno, nella coalizione, si sia indispettito dal fatto che il Patt e Rossi si siano mossi da soli in qualche caso. Ma è il momento di avviare un rilancio politico importante. In questo senso, l’accordo Pd-Upt deve essere la premessa di un successivo, forte accordo tra tutte le componenti della coalizione».
A quando la scelta del candidato presidente? Se ne parla già ora, ma c’è chi chiede di chiudere prima la partita della Finanziaria. Lei cosa dice?
«Innanzitutto la coalizione deve rinforzare il ragionamento di fondo del proprio essere un soggetto collettivo. Solo dopo si potrà parlare di candidato presidente. Tenendo presente un aspetto: un presidente uscente non può passare attraverso le primarie. La coalizione prenda una decisione politica sulla volontà o meno di portare avanti l’esperienza avviata».
Lorenzo Dellai ha invocato una rigenerazione dell’offerta politica. È d’accordo?
«Rispondo pensando alla mia storia. Quando ho iniziato il mio percorso in consiglio comunale, avevamo un sindaco trentenne, Dellai, e un vice trentatreenne, io. Da quella fase è nata e cresciuta una classe politica. Ecco, mi piacerebbe venisse avanti qualcosa del genere anche adesso».
È possibile?
«A quei tempi le forze politiche erano in grado di investire sul futuro. La Dc designò Dellai candidato sindaco, lasciando da parte molti senatori di partito che magari avrebbero ambito a quel ruolo. Il Pci scelse me, ultimo arrivato, per la prima esperienza in giunta dal dopoguerra. Sarebbe bello che anche oggi i partiti investissero sulle nuove leve, senza mettere da parte chi ha esperienza. Ma anzi, valorizzandolo. Mi pare, però, che queste siano cose passate di moda».
Lei aveva prospettato un suo ritorno.
«Mettiamo le cose in chiaro. Io avevo semplicemente detto che in un progetto di rilancio della coalizione e di dimensione territoriale avrei dato volentieri una mano. Lo confermo. Ma intendo da semplice partecipante. Ho la mia vita e questa rimane: non ho intenzione di insidiare alcun posto istituzionale».
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