Sollecitato dall'intervento del direttore dell'Adige e dal dibattito in corso sulle forme e le necessità delle autonomie in un'Europa che vive grandi trasformazioni e di ripresa di nazionalismi, provo a condividere alcune impressioni. Questo pur nella consapevolezza del rapido succedersi di eventi che possono cambiare il senso delle cose fin qui conosciute.
Bruno Dorigatti, 19 ottobre 2017
Se quella del presente sembra essere una stagione di grandi incertezze, è altrettanto evidente come l'evidente ripresa di quei nazionalismi che speravamo superati dallo scorrere dei decenni, preoccupa perché scalfisce l'idea stessa - fin qui maturatasi anche nelle coscienze collettive - dell'Europa come di un concetto unitario, entro il quale far convivere culture, storie, tradizioni e fedi diverse fra loro, ma non opposte; un concetto che aveva ed ha come fine l'individuo, anziché lo Stato.
È da questa centralità dell'uomo che, nella storia, prendono spunto anche le domanda di autonomia e di autogoverno che salgono soprattutto da territori complessi e ricchi di identità diverse come il nostro. Autonomia quindi come rispetto, tutela e promozione delle diversità e quale risposta tangibile, quotidiana e concreta allo sviluppo della società e delle persone singole; autonomia come antidoto alle spinte dei nazionalismi, che sono l'esatto contrario del principio di difesa delle differenze; autonomia, infine, come dialogo fra Istituzioni e Cittadini, sulla base del valore della solidarietà.
Questa è la nostra idea di autonomia e questa la sua storia. Solo attraverso essa abbiamo promosso un modello di convivenza che ci ha permesso di evitare quel rischio di un'esplosione violenta delle contrapposizioni etniche che, solo cinquant'anni fa, era sotto gli occhi di tutti.
Dialogo e tolleranza; paziente costruzione di percorsi che uniscono anziché di spinte che dividono; ricerca costante del compromesso utile, anche se non necessariamente «perfetto» sono stati e sono tutt'ora gli elementi che hanno definito la specificità della nostra esperienza e che hanno radici secolari nella vicenda di queste comunità alpine.
Nessuno pretende di avere ricette buone per ogni occasione, né, tanto meno, di insegnare nulla, esportando un modello che è stato pensato per una realtà particolare. Ciò non significa però che il percorso qui fatto non possa servire quale spunto di riflessione anche altrove, purché vi sia la volontà dei territori e delle Istituzioni di sedersi attorno ad un tavolo e di riannodare i fili di un confronto sereno e costruttivo.
Ciò che sta accadendo oggi in alcune contrade del vecchio continente non è nuovo. Esso anzi pare rianimare antiche contrapposizioni in chiave moderna, scambiando il valore dell'autonomia con il disvalore della frantumazione delle strutture istituzionali degli Stati e quindi dell'Unione europea. Ecco perché non possiamo fingere di non vedere come, a cent'anni dalla prima guerra mondiale, i fantasmi che allora incendiarono il mondo sembrano trovare nuova vita dentro la crescente confusione fra populismo, demagogia, rivendicazioni storiche e sfide costituzionali che contraddistingue più di una realtà del vecchio continente.
Dopo il secondo conflitto mondiale, statisti di straordinaria levatura, come Degasperi e Gruber, intuirono che solo una concessione di ampie forme di autogoverno poteva favorire la pacifica convivenza fra identità diverse e talora anche in contrasto fra loro. Altrove ciò non avvenne, se solo rammentiamo il conflitto nord-irlandese, la questione basca, le spinte bretoni e le tante altre frizioni che hanno messo alcune minoranze etnico-linguistiche in rotta di collisione con gli Stati nazionali di appartenenza, con risultati che ancora sono vivi nella memoria collettiva.
Ecco quindi, fra molte altre, le ragioni ed il significato di modernità che le autonomie speciali ancora possiedono, nonostante i superficiali giudizi avventati di qualche «penna» famosa. Esse infatti costituiscono un calmiere profondo fra istanze diverse; un luogo dove stemperare i conflitti; una dinamica di governo aderente ai bisogni del territorio amministrato e, soprattutto, una cultura di relazioni che può essere strumento di straordinaria attualità, davanti all'avanzarsi di dinamiche sempre più centrifughe.
Si tratta solo di prendere coscienza di queste potenzialità delle autonomia speciali. A Roma, in tutta Italia, in Europa, ma anche fra le nostre valli, dove l'indebolimento progressivo del sentire autonomistico potrebbe riaccendere le braci antiche del conflitto, anziché del confronto.