I principali indicatori che misurano l'andamento dell'economia e del mercato del lavoro in Trentino descrivono un quadro in progressivo miglioramento.
Tuttavia se il Pil e le assunzioni aumentano non significa automaticamente che la ripresa in atto sia tale da generare effetti redistributivi.
Il nuovo ordine globale e i guasti creati dalla speculazione finanziaria hanno creato nuove arie di marginalità.
Alessandro Olivi, 7 ottobre 2017
Pertanto alle necessarie politiche per aumentare la competitività e la crescita, deve accompagnarsi una riforma del welfare in quanto serve più e non meno protezione sociale ma soprattutto perché lo sviluppo va coniugato con l'equità.
Il Trentino con la creazione dell'Assegno Unico Provinciale ha compiuto una chiara scelta di innovazione in questa direzione.
La professoressa Chiara Saraceno, instancabile sostenitrice dell'urgenza di un programma nazionale contro la povertà e per l'inclusione sociale, non molte settimane fa scriveva che il sistema di welfare italiano è troppo frammentato, categoriale e sottofinanziato. Ebbene l'essenza del nostro Assegno Unico sta proprio nel suo carattere universalistico, coordinato e concretamente sostenuto dalla finanza pubblica. Con esso viene da un lato rafforzata la rete di protezione di ultima istanza ispirata ad una finalità solidaristica e dall'altro viene qualificata l'azione a favore delle famiglie con figli minori e dei disabili.
Si tratta di un intervento unico a livello nazionale tenuto conto che non coinvolge solo la fascia dei cittadini più esposti al rischio di povertà ma anche e soprattutto una ampia fetta del ceto medio dei trentini. Lo dicono i numeri: quasi 80 milioni il budget destinato al progetto, 40.000 i nuclei famigliari coinvolti, 180.000 i singoli beneficiari.
L'Assegno Unico, che sarà in vigore dal primo gennaio 2018, nasce con un chiaro obiettivo: rafforzare la coesione sociale riducendo le disuguaglianze attraverso un modello che riconosce diritti ma stimola anche più responsabilità.
Soprattutto le misure di contrasto alla povertà non devono avere il valore di atti caritatevoli che finiscono in qualche modo con il segregare i cittadini più deboli nella statica condizione di «ultimi», quanto piuttosto di presupposti per stimolare percorsi di attivazione e abilitazione sociale.
Il sostegno al reddito deve far parte di un piano diversificato di integrazione che preveda l'accompagnamento al lavoro, la formazione, ma anche partecipazione a percorsi di cittadinanza attiva soprattutto per gli stranieri residenti. Solo così si evita il rischio di interventi assistenziali e si scoraggiano comportamenti parassitari. Solo così il welfare è davvero generativo.
Per realizzare questo ambizioso obiettivo non bastano però le risorse finanziarie che peraltro sono state significativamente aumentate rispetto al passato. Nella attuazione del progetto devono essere coinvolte le istituzioni locali, le parti sociali, i servizi pubblici al lavoro, le associazioni e il terzo settore in un ottica di rete comunitaria che può generare anche nuovi posti di lavoro.
Così come si dovrà costruire un censimento dei bisogni, individuare le nuove fragilità, monitorare i risultati delle azioni per garantire efficienza e qualità delle risposte mediante rigorose politiche di valutazione.
Equità e trasparenza vengono perseguite nell'Assegno Unico attraverso la scelta di adottare un uniforme criterio di valutazione per determinare l'accessibilità ai diversi interventi. Questo è l'Icef ossia l'indicatore che consente la personalizzazione degli interventi di welfare sui bisogni dei singoli nuclei famigliari valutando il reddito disponibile al netto delle imposte, spese mediche, prima casa.
Non bonus quindi né detrazioni fiscali spot che scattano in base a soglie di reddito rigide ma interventi diretti, mirati e stabili nel tempo.
Il carattere universalistico che sorregge l'Assegno Unico è presente sia per la quota destinata al contrasto alle povertà, sia per le azioni previste a favore delle famiglie.
Per la quota di sostegno al reddito la novità è rappresentata dall'innalzamento del coefficiente Icef fino allo 0,16 (si pensi che a livello nazionale il nuovo Reddito di Inclusione prevede una soglia di reddito inferiore di circa due volte e mezzo) e dal prolungamento della durata minima dell'intervento da quattro a dodici mesi. In questo modo si è voluto premiare i comportamenti di quei cittadini che pur trovandosi in condizioni precarie si impegnano a migliorare il loro status ricercando soluzioni lavorative capaci di integrare seppur di poco il reddito.
La finalità di sostenere i processi di incremento demografico viene perseguita sul versante delle famiglie ponendo al centro dell'intervento il mantenimento, l'assistenza, la crescita qualitativa dei figli minori.
Possiamo dire che l'Assegno Unico è il primo esempio in Italia di un vero e proprio programma universale di sostegno al «costo» dei figli con il quale si vuole incoraggiare la natalità eliminando soprattutto quella barriera che per le donne madri spesso si frappone nella scelta tra lavoro e famiglia.
Nel concreto con l'Assegno Unico viene introdotto un sistema in forza del quale viene garantito un contributo per tutti i figli di età compresa da 0 a 18 anni con previsione di un aumento progressivo dell'entità dell'aiuto in relazione al numero dei figli.
Tali contributi dovranno essere finalizzati prioritariamente per l'utilizzo di servizi qualificati come la mensa scolastica, il trasporto pubblico, la conciliazione vita-lavoro.
Le misure a favore dei figli sono state elevate rispetto al sistema vigente di oltre undici milioni di Euro.
La principale novità in questo campo riguarda i servizi della prima infanzia.
Con l'Assegno Unico viene concretamente incentivato l'accesso all'asilo nido attraverso una forte riduzione dei costi a carico delle famiglie di media condizione economica (Icef 0,40).
La tariffa mensile non potrà infatti essere superiore a 250 euro e potrà scendere fino a 40 euro/mese. Ma non solo. Per il secondo figlio la forbice si riduce da euro 40 a euro 150 e per i genitori con occupazioni precarie sarà possibile ottenere un'ulteriore riduzione del 50% in caso di perdita del lavoro.
Vi è poi, non da ultimo, la parte di Assegno dedicato ai disabili.
Anche in questo caso le risorse aumentano rispetto allo storico e la ratio è quella di sostenere le persone non in un'ottica risarcitoria ma personalizzando gli interventi di supporto, dando maggiore aiuto a coloro che si dotano di progetti di vita autonomi e a quelli più gravi, senza smantellare un principio di solidarietà famigliare su cui si regge questo tipo di assistenza.
L'Assegno Unico non è e non sarà la soluzione ultima ed esaustiva a tutte le fragilità sociali di una comunità sempre più frastagliata e in cui tanti rischiano di essere più soli.
Rivendico però che si tratta di una risposta innovativa, inclusiva, agile che aggredisce concretamente i problemi e coinvolge i percettori in un patto che abbatte i muri del pregiudizio.
Questo provvedimento va inquadrato nell'ambito di un progetto più ampio che coinvolge sia le misure che tutelano il lavoro dei soggetti più deboli sia le politiche attive per migliorare l'occupabilità soprattutto dei giovani. Sia in Italia che in Europa oggi le forze politiche, le assemblee legislative e i Governi si confrontano sulle più efficaci soluzioni che possono essere adottate per garantire condizioni di vita dignitose alle fasce più deboli della popolazione.
Si misurano esperimenti, filosofie, tentativi e qualche inevitabile proposta propagandistica.
Noi non ci siamo fermati all'ambizione di una riforma del nostro welfare di comunità ma dopo averla pensata e progettata la abbiamo realizzata.
L'Assegno Unico Provinciale non è l'effetto di un'Autonomia che ha più soldi ma il risultato di una volontà politica di impiegare le risorse per rendere la nostra comunità più giusta ed equa. Ed è proprio sulla frontiera dell'innovazione sociale che l'Autonomia del Trentino può rappresentare un modello sia per la politica nazionale che per le buone pratiche che altri territori vorranno sperimentare. Un'Autonomia esportabile appunto.