Leadership solitarie? Ora basta

Come non cogliere la riflessione attenta ed intelligente di Mauro Marcantoni, apparsa sotto il titolo “Il futuro cancellato dal consenso”?
Bruno Dorigatti, "Trentino", 23 settembre 2017

 

Con una puntuale conoscenza delle modalità di costruzione delle campagne elettorali e delle delicatezze delle stesse, Marcantoni chiama, giustamente, la politica trentina ad uno sforzo di coraggio e di responsabilità, nella consapevolezza che oggi la “buona volontà coalizionale” non è, di per sé, più sufficiente a garantire l’esito elettorale, così come la politica dell’accondiscendenza ad ogni istanza, nell’esasperata ricerca del consenso, ha ormai dimostrato tutti i suoi limiti.

Rincorrere appunto “le piccole e grandi domande che provengono dallo scorrere del quotidiano” è segno di una complessiva incapacità di sguardo lungo, di intuizione del futuro, di prospettiva di rotta e di senso; è segno di una politica piegata, troppo spesso, su di una singola microdimensione, perchè incapace di aprirsi all’interpretazione delle molte macrodimensioni che affollano questo tempo complesso e frastagliato; è segno ,infine, dei rischi di una gestione solitaria e talora, perfino autoreferenziale, del potere, quasi che tutti i protagonisti della vita politica altro non fossero che incomode comparse di un canovaccio solo funzionale all’ “uno”, anziché ai “tanti”. Condivido inoltre il richiamo ad una coralità politica diffusa e fatta di pari dignità, piuttosto che di effimere ricerche di singoli protagonismi; sottoscrivo l’urgenza di un “pensare alto”, anche a rischio di scontentare qualcuno “se l’utilità sociale o lo sguardo al futuro lo richiedono” ed, infine, guardo con speranza ad una politica in grado di non immiserirsi “in un mortificante inseguimento degli umori di giornata”.

Credo però che le enunciazioni, da sole, non bastino. Ritengo infatti che, mai come oggi, sia necessaria una riscoperta di strumenti di governo ben diversi da quelli delle normalità trascorse. Reputo che la prossima Legislatura debba connotarsi anche per una ripresa vigorosa della cultura della programmazione, quale intelaiatura di pensiero, ancor prima che mero metodo di governo, nella convinzione che la programmazione, per essere tale, impone una costante verifica di quadro ed una conseguente forma di agire razionale, in vista degli obiettivi di sviluppo che sempre la politica deve darsi.

Confido nel mantenimento di spazi per ulteriori riforme con le quali ammodernare l’autonomia, ma so anche che tutte le riforme non sono dati a sé stanti o fantasiose suggestioni, ma frutti di una politica fatta di atti successivi e suggeriti dalla sperimentazione, mirati e coerenti fra loro. Penso che le coalizioni non siano solo utili mezzi di trasporto per superare i confini del consenso, bensì progetti di messa in comune di culture e di esperienze, piuttosto che agoni per scontri continui fra nostalgia o recriminazione del passato da un lato ed interessi individuali dall’altro. Suppongo, buon ultimo, che solo la stanca immobilità di una politica coartata a ripetere sé stessa, come una vite senza fine, possa generare quelle sabbie mobili che rischiano di inghiottire con i politici anche le idee, i progetti e le speranze di un’intera comunità. Ecco perché oggi il rilancio serio e prospettico della dimensione coalizionale non può ridursi alla sola messa a punto di uno strumento di tecnica elettorale, per diventare piuttosto la scelta di una modalità piena del fare politica insieme, cercando ed alimentando il “molto” che unisce a scapito del “poco” che divide.

Questo significa, a mio modesto parere, che anche le leadership solitarie non siano più autonomamente sufficienti ed anzi debbano farsi carico di rappresentare tutti i tasselli che compongono il mosaico coalizionale; debbano cioè trovare nuove forme della narrazione, abbandonando il rassicurante terreno del “già visto”, per inoltrarsi, con coraggio e coscienza storica, sull’impervio tracciato di rotte nuove e sconosciute: le rotte del futuro e dello sviluppo.