Chi si concentra troppo sul dibattito locale rischia di avere una percezione molto distorta delle priorità complessive. Nella nostra regione il tema dell’autonomia è infatti centrale, sia per le questioni che riguardano le prospettive di riforma dello statuto, sia per l’agenda politica quotidiana. I giornali ne scrivono, la politica ne parla, i cittadini la vivono. Le si dedicano spesso convegni e pubblicazioni. Al di là dei confini regionali, invece, la situazione è assai diversa.
Francesco Palermo, "Trentino", 16 settembre 2017
L’autonomia non è un tema, e quando lo è il clima che la circonda è quasi sempre negativo. Non è un fenomeno solo italiano, ma europeo e mondiale, anche se la connotazione negativa è inversamente proporzionale alla cultura autonomistica sottostante: quanto più questa scarseggia, come in Italia, tanto più il tema è soggetto a mode e al clima politico del momento. In parte è un fenomeno comprensibile. Negli ultimi anni altre priorità si sono imposte, dal terrorismo alla crisi economico-finanziaria all’immigrazione, fenomeni globali che hanno fatto pensare che l’autonomia fosse un ostacolo sulla via del controllo di queste emergenze, perché la presenza di più livelli decisionali è spesso vista come qualcosa che complica e rallenta.
Una percezione superficiale, ma che proprio per questo attecchisce facilmente in contesti scarsamente permeati di cultura dell’autonomia.Se poi si aggiungono frequenti episodi di malgoverno o alcune situazioni farsesche (per tutte un paio di mutande verdi comprate coi soldi dei contribuenti), la delegittimazione mediatica e culturale del livello regionale diventa inevitabile.
La situazione pare tuttavia destinata ora a mutare, anche in Italia. Molto dipende dalla potenza mediatica degli imminenti referenda in Veneto e Lombardia e in Catalogna. Nel caso catalano tutto è ancora incerto: lo svolgimento stesso del referendum, il suo esito, le conseguenze. Indipendentemente dalle spaventose incertezze che il processo solleva per la Catalogna e la Spagna, l’attenzione a quanto avverrà (ed è avvenuto negli ultimi anni) nel sistema autonomistico spagnolo, e le ragioni del suo inceppamento sul versante catalano fino a produrre una domanda di indipendenza, non può che indirizzare i riflettori internazionali sul tema dell’autonomia.
Quanto a Veneto e Lombardia, i referenda del prossimo mese, volti a chiedere ai cittadini delle due regioni se attivare il meccanismo per l’acquisizione di ulteriori competenze previsto dall’art. 116.3 della Costituzione, sono tanto inutili giuridicamente (le giunte regionali possono in qualsiasi momento mettere in moto la procedura) quanto importanti politicamente per riportare il tema dell’autonomia al centro del dibattito politico.
L’Italia e l’Europa ne hanno un gran bisogno, per non lasciare in balia delle mode una delle questioni centrali del mondo contemporaneo: come gestire con maggiore efficacia e democraticità fenomeni complessi e governare territori interconnessi. Che probabilmente ci siano a breve di nuovo le condizioni per ragionare di autonomia ben oltre i confini della nostra regione significa che una finestra importante potrebbe riaprirsi. Ma questo non garantisce che i vari soggetti interessati sappiano sfruttare l’opportunità: né le regioni che di autonomia hanno smesso di parlare da tempo, né quelle che ne parlano in continuazione, né il piano statale che vede con sospetto ogni regola differenziata, né il discorso politico e mediatico, che ha spesso dato prova finora di trattare il tema con superficialità disarmante.
Dimostrare di saper porre nel modo corretto le questioni spetta tuttavia in primo luogo a chi ha il maggiore interesse a farlo, ossia le regioni, e tra queste in particolare quelle che maggiormente tengono alla propria autonomia. Ricordando che il miglior biglietto da visita dell’autonomia – di ogni autonomia – è la capacità istituzionale che si riesce a produrre. Una capacità che si manifesta nel sapersi autogovernare e nel contempo nel saper governare insieme ad altri livelli. Facile a dirsi, ma farlo in pratica è tanto complesso quanto indispensabile. Francesco Palermo