Sembra ormai che la legge sullo Ius Soli non verrà approvata dal Parlamento. Forse un (non) risultato che va bene a molti tenuto conto che i sondaggi scoraggiavano temerarie insistenze. In realtà a governare le scelte della politica, prima ancora che i calcoli elettorali e l'agibilità delle maggioranze, è subentrato un fenomeno tutto sociale. È la paura, quel sentimento che modifica i comportamenti individuali e collettivi e diventa ormai senso comune.
Alessandro Olivi, 18 settembre 2017
È un contesto questo in cui sguazza la destra più radicale che non a caso raccoglie e trasforma in consenso questo diffuso sentimento di ostilità nei confronti di tutto ciò che genera insicurezza attribuendolo al diverso da noi.
I progressisti, non solo in Italia, commettono l'errore letale di lasciare alla destra il ruolo di garante dell'ordine e della sicurezza, e di interprete dell'idea di uno Stato che debba proteggere i suoi cittadini.
La sicurezza e la legalità sono invece elemento costitutivo di uno Stato democratico e quindi un patrimonio comune di tutti.
La sinistra e ancor più un centrosinistra che voglia essere davvero inclusivo deve sentire la responsabilità di governare la globalizzazione coniugando sicurezza e integrazione, e facendo convivere doveri e diritti.
Per fare questo c'è bisogno di iniziare a chiedersi da dove nasce la paura, e se è normale avere paura.
Analisi sociali approfondite dimostrano che la paura, intesa come conseguenza di un dilagante senso di incertezza e sfiducia nel futuro, non è il prodotto di una propaganda (che semmai la agita e la strumentalizza) ma una reazione a trasformazioni economico sociali che attraversano e scompongono la società. Una crisi durissima che ha tolto lavoro, generato esclusione, aumentato le disuguaglianze, alimentato conflitti tra le generazioni.
Se è vero infatti che i cittadini si sentono sempre più soli, e che la società arretra rispetto all'individuo, sono i nuovi poveri - e non i più ricchi - a sentire la paura sulla pelle. È un dato di fatto che il senso di precarietà prolifera nelle fasce più fragili della popolazione, nelle zone più esposte al conflitto sociale dove si consuma proprio una «guerra tra poveri».
La sicurezza oggi è invocata soprattutto da chi avrebbe più bisogno di tutela da parte della politica e delle istituzioni. Ed è proprio la sinistra che dovrebbe farsi carico di pensare ai più deboli.
Insomma, la paura non deve essere giudicata, e tanto meno demonizzata, quanto piuttosto superata rimuovendone le cause.
Ed ecco perché una sinistra nuova, davvero riformista, e non fatalista ed elitaria, deve sapersi cimentare in prima linea, sporcarsi le mani compiendo scelte che sappiano governare i processi globali realizzando un'integrazione realmente democratica.
Sono i progressisti a dover dimostrare che alla paura non si contrappone il nazionalismo sovrano che costruisce muri, ma un nuovo patto di cittadinanza tra solidarietà e legalità.
Quando Papa Francesco ci ricorda che i migranti non vanno solo accolti ma anche integrati, trasmette un messaggio forte contro la paura, e al tempo stesso biasima un buonismo irresponsabile di facciata. È un monito anche per quanti, a sinistra, si perdono nella disputa tra virtuosismo ideologico da un lato e pragmatismo indifferente dall'altro.
Ecco allora che lo Ius Soli non diventa una scelta contro bensì a favore di un processo di vera integrazione. Se infatti è «giusto» governare i processi migratori introducendo regole e doveri non si può negare il più «giusto» dei diritti ossia quello che appartiene a quei bambini che nascono, giocano, studiano, crescono in una Comunità che sentono loro contro ogni velleitario tentativo di escluderli.