«Non vedo alternative: la priorità del Pd per i prossimi due mesi deve essere un confronto programmatico con l’Upt, non certo gli estenuanti giochi legati a candidature e destini personali». Alessio Manica si prepara alla riunione del gruppo provinciale di domani mettendo anche le mani avanti in vista del prossimo appuntamento legislativo: la riforma della cultura.T. Scarpetta, "Corriere del Trentino", 17 settembre 2017
«Il testo condiviso dalla maggioranza è quello del cda unico. Non cederemo né al ricatto dell’ostruzionismo, né ad altre logiche politiche: quello è il testo che arriverà in aula».
Consigliere all’interno della maggioranza è in corso un’evidente lotta per la leadership. Il Pd ciclicamente la rivendica, senza però chiarire sulla base di cosa.
«La domanda che dobbiamo farci tutti, credo, è questa: gli ultimi 20 anni in Trentino sono stati di buon governo? La risposta che do io è sì. È stato attuato un programma con un’identità chiara, frutto dell’incontro di due culture politiche: quella della sinistra riformista con quella cattolica, cui sì è aggiunta quella autonomista. Da lì dobbiamo ripartire».
Cosa intende?
«Intendo che Pd e Upt devono recuperare il senso di quell’incontro che ha permesso al Trentino di avere un governo riformista e progressista anche quando il resto del nord Italia veniva travolto dal leghismo e dal berlusconismo. Non vedo alternative: queste due forze politiche devono sedersi intorno a un tavolo con convinzione. Ne ricaverà un beneficio non solo tutta la coalizione, ma anche il nostro programma di governo, che non può limitarsi, come spesso è accaduto in questa legislatura, all’amministrazione del quotidiano. Il Pd, a mio giudizio, deve avviare senza paura questo percorso. Diversamente e rispondo così alla sua domanda, mancano i presupposti per rivendicare una leadership».
Insomma, non basta dire «siamo il primo partito».
«Direi di no. Abbiamo un urgenza vitale ed è mettere sul tavolo nuove idee, nuovi programmi. Prendiamo a mo’ di esempio la mobilità. Metroland è un progetto irrealizzabile per la mancanza di risorse? Prendiamone atto e proponiamo qualcosa che però guardi oltre dopodomani. Se non lo faremo come Pd, come Upt, come area civico-riformista, l’alternativa sarà sottoscrivere, a posteriori, il programma del presidente, chiunque esso sia».
Roberto Pinter, in una sua recente intervista su questo giornale, ha esortato ad avere coraggio anche nel rinnovamento delle candidature, cominciando dalle politiche.
«E ha ragione. La scelta dei candidati nei collegi sarà per noi un doppio banco di prova. Come coalizione, se decideremo di scegliere insieme i nomi, lo potremo fare solo a fronte di un patto politico chiaro. Altri schemi non esistono. Non è che possiamo “spartirci” i collegi e dire “poi vedremo cosa fare nei prossimi mesi”, non esiste. Come Pd, dovremo dimostrare che non sono i destini personali dei singoli a guidarci. Anche perché la logica della spartizione e delle rendite di posizione personali non tiene in considerazione un fattore: le elezioni si possono anche perdere se i candidati non convincono gli elettori. Ricordiamoci cosa avvenne nel “sicuro” collegio di Trento quando Divina sfidò Betta».
Lei invita il suo partito a scelte chiare, ma nonostante l’elezione di Italo Gilmozzi a segretario promettesse di superare le divisioni interne, sembrate ancora paralizzati dalle contrapposizioni.
«Non posso dire che non è così. Oggi i cippi che bloccano le caviglie del Pd sono le divisioni interne che non definirei più “di corrente”. Si tratta di divisioni per lo più personali che ci fanno male. Non più tardi di dieci giorni fa siamo comparsi su tutti i giornali per discutere dell’insoddisfazione e del destino di un nostro pur autorevole esponente, Donata Borgonovo Re. Esattamente quello che non dobbiamo fare, perché contrario al dna del Pd. Chi rivendica i propri 11.000 voti dimentica che la base del successo personale è il successo collettivo del Pd. Se il Pd come progetto politico viene bocciato, non ci saranno gli 11.000 (Borgonovo Re, ndr), come non ci saranno i 14.000 (Olivi, ndr) o i 5.000 (Dorigatti, ndr)».
Domani, alla riunione del gruppo, dovrete discutere anche della riforma della cultura. A Ugo Rossi pare non dispiaccia una mediazione con Walter Viola che mantenga gli attuali cda dei musei.
«La proposta del cda unico è quella che la maggioranza ha concordato perché la ritiene la più utile per il Trentino. Per noi il discorso finisce qui. Non possiamo cedere addirittura preventivamente alla minaccia di ostruzionismo di una parte dell’opposizione».
L’avvicinamento di Viola alla maggioranza, più precisamente al Patt, è ormai fatto notorio.
«Come non si può cedere all’ostruzionismo, non si può nemmeno permettere che questioni politiche estranee al merito della riforma si riverberino su questa. Al Pd interessa solo il merito: la consideriamo la proposta migliore? Sì, e allora quella sarà la proposta che arriverà in aula. Poi si vedrà».
Che giudizio dà della riforma del welfare per gli anziani licenziata dalla giunta? È molto diversa dalla proposta iniziale.
«Questo lo dobbiamo ammettere. Forse la prima proposta, la Rsa unica, era eccessiva, ma l’idea dell’assessore Zeni di accorpare, per rendere più efficiente, una realtà troppo frammentata è giusta. Ci è dispiaciuta la resistenza trovata sia in maggioranza, sia sul territorio. Però penso che Zeni abbia fatto bene ad andare avanti. Il tema è troppo importante e urgente perché si potesse rinunciare, di fronte alle contrarietà anche interne, a riformare il settore. Sarebbe stato irresponsabile ».
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