«Tentare di governare la globalizzazione incontrando l’Europa» questa l’ancora di salvataggio della sinistra italiana secondo il viceministro all’Economia Enrico Morando, ieri a Rovereto per la terza edizione della rassegna “La nuova Europa riparte da te”.
M. Dei Cas, "Corriere del Trentino", 10 settembre 2017
Il viceministro, che si definisce «un estimatore del sistema politico-istituzionale francese», ha sottolineato come con l’arrivo di Macron all’Eliseo si sia passati da una forte spinta disgregatrice dell’Unione europea, a un tentativo di rilancio, «che non sarà minimamente influenzato dall’esito delle elezioni tedesche del 24 settembre, perché in Germania entrambi i contendenti, seppur con approcci diversi, appoggiano Bruxelles».
Scongiurata la deriva populista, il problema si colloca dunque sul tavolo a cui l’Italia sta giocando la sua partita più importante: quella per scollarsi l’etichetta di spettatrice e diventare a pieno titolo attrice nel rilancio dell’Unione. «La nostra opposizione ha la pericolosa tendenza all’autoemarginazione – sostiene il viceministro – la flat tax della Lega o il reddito di cittadinanza grillino non sono infatti orpelli di protesta, che un elettore moderato può scorporare dai loro programmi, bensì architravi totalmente incompatibili con il vincolo di bilancio, il mercato unico e l’euro che, se venissero adottate, comporterebbero la rinuncia integrale all’Europa e precipiterebbero il Paese nel caos».
La critica più dura è però per Forza Italia, rea, secondo l’esponente del Partito Democratico, «di aver perso, pur di allearsi con la Lega, quella visione europeista che dopo anni di militanza tra i popolari europei, Berlusconi dovrebbe invece aver maturato». Bocciata senza riserve anche la tesi della doppia moneta. «Gli ultimi ad aver usato la doppia moneta sono stati l’Unione Sovietica, Cuba e l’Argentina poco prima di entrare in crisi, un elenco che da solo dissuade» dice Morando, convinto invece della necessità di attribuire più sovranità fiscale all’Europa, per far sì che, come già avviene negli Stati Uniti, gli interventi anti-ciclici e gli investimenti a lungo termine in favore della ricerca e dell’innovazione tecnologica non gravino sul bilancio dei singoli Stati, ma su quello della federazione, o nel nostro caso dell’Unione.
Chiusura infine sullo strumento militare europeo, che secondo il viceministro «serve, ma ha come condizione e conseguenza lo sviluppo di una politica estera comune, che parta dal governo delle frontiere, perché – ribadisce – un’Europa che non sa gestire il fenomeno migratorio è un’Europa che si allontana dai suoi stessi ceti popolari, spesso definiti alla spicciolata razzisti, ma che non andrebbero giudicati da quelle classi sociali che, come la mia, non sono costrette ad affrontare ogni mattina le difficoltà di un’integrazione senza regole».