Trattative con i civici di Francesco Valduga? «No grazie». Alessandro Olivi ha progetti più ambiziosi. La sua idea è creare un’«area civica progressista» dove sia il Pd — magari d’intesa con l’Upt — a costruire uno spazio politico «aperto a un civismo che non è la recente invenzione di qualche pur autorevole figura, ma un’istanza connaturata al Trentino».T. Scarpetta, "Corriere del Trentino", 24 agosto 2017
«Io — ricorda l’ex primo cittadino di Folgaria — ho cominciato a fare politica come sindaco civico». Quanto ai propri destini personali, Olivi implicitamente avverte chi gradirebbe vederlo fuori dai giochi per la corsa alla presidenza nel 2018: «Le politiche? Non ci sto affatto pensando».
Queste settimane di dibattito estivo si sono concentrate per lo più sul rapporto che i partiti vorrebbero avere con il movimentismo civico. Lei che opinione se n’è fatto?
«Credo ci sia un equivoco di fondo. Il civismo, in Trentino, non è nato un anno e mezzo fa e non è nemmeno l’invenzione di qualcuno, come Francesco Valduga, che pure è stato capace di dargli espressione in una città importante come Rovereto. Il civismo, in quanto naturale propensione ad occuparsi della cosa pubblica ad ogni livello, è connaturato al Trentino, alla sua storia, alla sua cultura. Per questo mi pare ci sia un equivoco quando si immagina di “trattare” con il civismo. Cosa significa?»
Pare di capire che lei non abbia gradito l’offerta di un collegio parlamentare avanzata da Ugo Rossi ai “civici”.
«Francamente immaginare una cosa del genere mi pare una resa dei partiti che dovrebbero avere invece la capacità di rigenerarsi, di capire e fare proprie le istanze che i cittadini avanzano attraverso il civismo e non trattare con questo o quell’esponente sui collegi o i posti in lista. Questo non perché noi si debba ignorare quel mondo, al contrario: perché dobbiamo essere noi a interpretarlo. Diversamente, vuole dire che, già in partenza, abbiamo rinunciato alle potenzialità espansive dei partiti, alla loro capacità di ascoltare la gente, di farsene tramite ad un livello politico senza affidarsi a una sorta di intermediazione. Valduga e altri amministratori si fanno portatori di istanze politiche? Valutiamone la portata e l’interesse, non serve mettersi a trattare spazi elettorali».
Il suo partito, il Pd, cerca di rispondere alla sfida riscoprendo ancora una volta l’esigenza di caratterizzarsi territorialmente. Condivide?
«Rispondo prendendola un po’ larga. Il federalismo leghista ha fallito miseramente. Anche il referendum dello scorso dicembre, nonostante le intenzioni, non ha avuto successo. Veneto e Lombardia, con un referendum, chiedono più autonomia. Noi dobbiamo sostenere queste istanze, al netto dell’evidente strumentalizzazione plebiscitaria che vi è sottesa, perché è il paese intero ad avere bisogno di ripensare il suo rapporto tra centro e periferia. In questo contesto, certo che il Pd del Trentino può e deve caratterizzarsi maggiormente in termini territoriali, ma questo non può esaurirsi nel chiedere a Roma di decidere per i fatti nostri le candidature. Dobbiamo — e torno al discorso di prima — riscoprire la natura civica e inclusiva che il Pd ha avuto, o avrebbe dovuto avere, fin dall’inizio. Siamo noi che dobbiamo farci interpreti di questa nuova istanza civica e non negando la nostra natura, bensì attuandola compiutamente. A qualcuno come Franco Panizza il Pd sembra interessare solo in chiave nazionale. Non possiamo farci assegnare un ruolo in base al risultato di febbraio».
Anche lei, come Italo Gilmozzi, crede che i sindaci del Pd possano avere un ruolo in questo?
«Certamente sì e aggiungo una cosa: nel 2010 a Mori, Ala, Cles, Arco, il Pd ha vinto alleandosi con le liste civiche, anche in assenza di qualche partito della coalizione (il Patt, ndr ). Quindi non è vero che solo altre forze possono dialogare con pezzi di comunità e singoli cittadini che non sono necessariamente interessati ad entrare in maniera organica in un partito».
L’esempio, però, è su un livello comunale.
«Io credo che si possa, anzi che da settembre si debba lavorare anche sul livello provinciale. Penso a un’area civico progressista, che non perda nulla della carica innovatrice del Pd, che veda la partecipazione attiva anche dell’Upt e che sappia dare fiato e gambe alle esigenze più puntuali e specifiche di cui spesso si fa carico il civismo. Da qui può nascere una proposta programmatica da condividere in una coalizione più ampia insieme al Patt».
Lei pare ragionare più in vista delle provinciali che delle politiche cui, stando alle voci, dovrebbe prendere parte.
«Io non ho una mia corrente a livello locale, non ho mai cercato affiliazioni nazionali e penso di riuscire a dare il meglio come amministratore. Se mi sarà chiesto un contributo in altra sede ci penserò, ma al momento posso garantire di non essermi impegnato nemmeno un minuto per sondare una mia possibile candidatura alle politiche».
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