«Dichiararsi antifascisti dovrebbe essere un’ovvietà poiché si tratta di riconoscere i valori che sono scritti nella nostra Costituzione e sinceramente non comprendo dove sia la difficoltà nel sottoscrivere una cosa ovvia».
A. Cattoi, "Trentino", 24 agosto 2017
Dopo le polemiche innescate nelle scorse settimane da alcune associazioni che hanno deciso di non firmare la dichiarazione di aderire ai valori dell’anti fascismo richiesta dalla Comunità Alto Gara e Ledro e condizione necessaria per accedere ai contributi dell’ente, sulla vicenda interviene Renato Ballardini, avvocato e antifascista da sempre con la sua lunga militanza politica e il suo passato di partigiano.
Cosa può aver infastidito alcune associazioni al punto da essere pronte a rinunciare a contributi pubblici pur di non sottoscrivere una dichiarazione di antifascismo? «Si tratta di un episodio che non va ingigantito, alcuni si saranno meravigliati e avranno reagito d’impulso, ma è pur sempre un episodio che lascia qualche indizio di una mentalità che si fa strada. Un modo di pensare diffuso che presuppone di non prendere alcuna posizione, nemmeno quella più ovvia, e che sposa la tesi della neutralità a prescindere».
In effetti dichiararsi antifascisti non significa schierarsi politicamente, vuole dire semplicemente riconoscersi entro il recinto di principi democratici. «Certamente è così. Non credo che chi si è rifiutato di firmare sia in alcun modo vicino al fascismo, ma purtroppo oggi nel nostro Paesi vi è una scarsa conoscenza, un’ignoranza diffusa che non ricorda cosa sia stato il fascismo e dunque che non permette di capire quanto sia normale dichiararsi antifascisti. Questo è il vero problema. Posso dirlo avendo vissuto in prima persona sia il fascismo sia il diffondersi di un profondo sentimento antifascista alla fine della guerra, e con esso la crescita dei principi di democrazia e di libertà che sono stati il faro per la nostra carta costituzionale».
Cosa dovrebbe fare preoccupare allora? «Il fatto che oggi non si conosca molto o che si sia dimenticato. Preoccupano i movimenti estremisti, limitati ma pur sempre presenti, come Casa Pound e non solo. Questi fenomeni trovano terreno fertile in un contesto sociale in cui prendono forza il razzismo, i nazionalismi, la riscoperta della patria, il concetto del “prima noi e poi gli altri”. Sono tutti elementi molto legati anche al fenomeno dell’immigrazione e alla rappresentazione che se ne dà».
Forse è proprio questo clima che serpeggia senza fare troppo rumore che ha spinto gli enti locali, dalla Comunità ai comuni di Arco e di Riva ad approvare nei rispettivi consigli una mozione per ribadire i valori dell’antifascismo. «Gli amministratori locali hanno il polso delle loro comunità, avvertono il clima, colgono un sentimento che esiste nel profondo, anche se non in maniera eclatante. E avvertono che c’è un problema. Per questo hanno sentito la necessità di ribadire con forza alcuni principi da qui non si può prescindere».
Dal suo punto di vista dirsi antifascisti oggi è come dichiararsi di appartenere al passato? «Devo riconoscere che i valori democratici nati dopo il fascismo sono ancora sentiti, nelle manifestazioni pubbliche si incontrano ancora molte persone che partecipano con convinzione. Poi certo la scuola ha una ruolo importantissimo e non so quanto i nostri ragazzi oggi riescano ad apprendere dai libri, sarebbe bello avere anche occasioni diverse, incontri pubblici, manifestazioni culturali per fare maturare nei ragazzi un sentimento antifascista e democratico».
Se fosse nei panni del presidente di un’associazione musicale estranea alla politica avrebbe firmato la dichiarazione di antifascismo o l’avrebbe trovata fuori luogo? «Non ci può essere un dibattito intorno a una dichiarazione che ribadisce dei principi costituzionali, che non sono né di destra né di sinistra, sono di tutti. Penso che chi ha reagito polemicamente lo ha fatto perché colto di sorpresa, ma di certo non si può discutere sul fatto che si tratti di un principio non solo giusto ma, ripeto, lo definirei ovvio».