Cercò di farlo desistere, spronandolo ad accettare un incarico che pareva eredità naturalmente acquisita sul campo: la candidatura alla presidenza della Provincia. «Allora ero segretario del Pd e ho vissuto da vicino la sofferta decisione di Alberto Pacher», ricorda Michele Nicoletti. L’epilogo è ben noto. «È quindi una bella notizia vederlo oggi offrire la sua disponibilità», si rallegra il deputato che, nello slancio conciliante di Pacher, intravede già i frutti della riflessione partita nel Pd («Il dibattito sulla territorialità sta raccogliendo i primi risultati»).
M. Damaggio, "Corriere del Trentino", 6 agosto 2017
Il perimetro di una nuova stagione politica, più autonoma tuttavia saldamente ancorata a Roma e Bruxelles, per Nicoletti «deve allargarsi, cercando di includere tutte le forze che si muovono nel centrosinistra».
Onorevole, Pacher se lo augura per tornare «in famiglia»: è tempo di imboccare la strada di un Pd territoriale, autonomo da Roma?
«Il percorso che abbiamo avviato ha chiaramente degli interlocutori: il partito nazionale, a cui vogliamo rimanere agganciati, e i socialisti europei. I confini politici devono essere molto chiari, non facciamo operazioni di trasformismo e gli elettori devono sapere quali rappresentanti scegliere per Roma o Bruxelles. Dall’altra parte, il percorso dev’essere partecipato con la società trentina, con le forze che si muovono nell’ambito del centrosinistra, con i nostri partner di coalizione e le forze civiche che in formule diverse potrebbero trovare stimolo a impegnarsi».
Quindi un partito territoriale, confederato, che non recida i vasi comunicanti con Roma?
«L’idea del partito confederale era insita nello statuto, ricordiamolo. Pacher cita l’esperienza di Asar di cui ho rispetto, ma continuo a rimanere convinto che lo sviluppo del Trentino sia l’esito di un mix tra soggetti politici locali e forze politiche nazionali. Per essere chiari, con il solo Asar avremmo fatto la fine dell’Union Valdôtaine, in Val d’Aosta. Invece l’autonomia trentina è cresciuta perché partiti nazionali — Dc, Psi e lo stesso Pci — hanno saputo tradurre le istanze della nostra specificità. Il partito funziona se ha una forma territoriale, agganciata tuttavia a Roma e Bruxelles, per costruire la classe dirigente del Trentino, ma anche dell’intero Paese. Oggi abbiamo l’ambizione di costruire un centrosinistra ampio, quindi con un consenso più ampio. Le divisioni vanno affrontate con una spinta unificante, inclusiva, di apertura».
«Inclusione», «apertura»: utilizza termini che in questi mesi ripete spesso Giuliano Pisapia.
«Ho visto con sorpresa che s’è accostato il mio nome a Pisapia prima e Prodi poi (La Stampa di ieri, ndr ). Io sono stato segretario del Pd e per me è inconcepibile una strada fuori dal Pd stesso. Ciò a cui pensiamo non è il progetto di Pisapia, ma un partito capace di includere le diverse anime del centrosinistra. Lo dobbiamo fare anche perché, concretamente, con il Mattarellum sappiamo che divisi siamo deboli. Il Pd ha invece l’ambizione di rappresentare tutti».
Chi dovrebbe includere?
«Movimenti, associazioni e categorie interessate a scrivere insieme a noi un progetto politico. Questo vale sia a livello territoriale sia a livello nazionale. Penso all’esperienza di Padova, con il Pd che ha vinto grazie all’appoggio di liste civiche. Chi oggi si è raffreddato e rischia di astenersi merita di ritrovare rappresentanza».