Uscendo, non aveva sbattuto la porta. Si era limitato a consegnare le chiavi del Pd ed era tornato a fare il suo lavoro. Ora, di fonte alla prospettiva di un Pd del Trentino autonomo da Roma come la Provincia che ambisce a governare, Alberto Pacher dice che gli piacerebbe «tornare a dare un contributo». I molti aspiranti presidenti, però, pare possano stare tranquilli.
T. Scarpetta, "Corriere del Trentino", 5 agosto 2017
«Intendo un contributo politico, non amministrativo» assicura.
Vista da fuori, che impressione le fa la politica trentina oggi?
«Da un punto di vista amministrativo, le cose mi sembrano andare bene. Come dimostra la recente vicenda di Folgarida, siamo ancora capaci di scatti di reni. Da un punto di vista politico, invece, è ormai da diversi lustri che la parabola appare calante e le leadership coincidono sempre più con gli amministratori».
Pur con diversi gradi di entusiasmo, il Pd del Trentino di cui lei fu il primo segretario ha deciso di imboccare la strada del rapporto confederale con Roma. La interessa?
«Fin dal giorno della sua nascita ho sempre pensato — non da solo — che per governare una Provincia autonoma servisse un Pd autonomo, uno speciale interprete della specialità istituzionale. Personalmente, non mi scandalizzerebbe nemmeno l’idea di fare come i popolari in Baviera, dove la Cdu si chiama Csu. Anche lo schema della confederazione con il Pd nazionale, però, può essere una buona soluzione».
Ma quando dice “autonomo”, cos’è che intende?
«Un partito autonomo non significa solo una forza politica che può prendere alcune decisioni a livello locale, ma che è radicato nel territorio che aspira a rappresentare, che ne interpreta le specificità. Non credo che la scarsa affluenza alle scorse amministrative sia stata colta in tutta la sua portata. La gente non va più a votare nemmeno alle elezioni che sente più vicine. Questo è più grave del proprio partito che arriva secondo, perché è il sistema della rappresentanza democratica che scricchiola».
Colpa dell’antipolitica?
«Non scherziamo. L’antipolitica è il sintomo, non la malattia».
Ma avere un Pd del Trentino in qualche modo separato, per quanto più radicato, non significa recidere l’ultimo collegamento forte rimasto con i partiti nazionali?
«Io non la vedo così. Ritagliarsi un proprio spazio di pensiero non significa isolarsi. Lo dimostrano i rapporti solidi che la nostra autonomia è riuscita a costruire in questi anni con i diversi governi che si sono succeduti a Roma e lo dimostra il rapporto costruito dalla stessa Svp con il Pd nazionale».
Dopo l’ormai famoso 40% del Pd alle europee, anche in Trentino c’è chi ha pensato che farsi portare dall’onda di Renzi sarebbe stato sufficiente. Solo ora che la sua popolarità è scesa ci si accorge che non poteva essere sufficiente?
«Come mi disse una volta Tonini, Renzi si può prendere solo all inclusive . Ha avuto il merito di innovare, ma ha anche mostrato un carattere che fatica ad unire e il carattere in politica non è secondario. Vedremo se saprà risollevarsi. Certo è che oggi il Pd ha meno consensi di quello di Veltroni e Bersani. Tuttavia, chi ha scelto la strada di una scissione astiosa non credo abbia prospettive di crescita ed evoluzione. Ciò detto, era vero ieri come oggi che strutturarsi a livello locale sia comunque utile».
Ma l’idea del partito unico con l’Upt?
«Quella temo sia ancora di là da venire. Però credo che la coalizione avrebbe bisogno di un luogo, non solo virtuale, dove mettere pensiero politico a fattore comune. Una sorta di Asar per intenderci».
Ci possiamo preparare a rivederla in corsa per la presidenza?
«(Ride) Direi proprio di no».
Lei attualmente non ha la tessera del Pd. Se il progetto di un soggetto autonomo andasse avanti?
«Mi piacerebbe tornare a dare il mio contributo nel partito, ma in chiave politica, non amministrativa».