Dopo i femminicidi avvenuti negli anni scorsi a Pergine e a Trento, con quello di lunedì a Tenno ancora una volta ci si accorge che anche il nostro bel territorio, la nostra benestante comunità non è indenne da una ignobile piaga sociale, quella della violenza sulle donne. Per rispetto alla verità e alla vittima, a tutte le vittime di femminicidio, chiamiamoli così, tutti.
Sara Ferrari, 2 agosto 2017
È quando una donna viene uccisa dal suo compagno, attuale o ex. Circa 600 sono le denunce che le forze dell'ordine raccolgono ogni anno dalle donne residenti in Trentino e che trovano il coraggio di raccontare di violenze di vario genere. Ma questo fenomeno resta per la maggior parte sommerso e quando emerge anche l'opinione pubblica fatica a chiamarlo con il suo vero nome: violenza di genere. Cioè quella legata alla incapacità maschile di riconoscere l'autonomia delle donne, di accettare la fine di una relazione, di consentire un'esistenza dell'altra anche lontana da sé.
Le caratteristiche di questo fenomeno si conoscono ormai sempre meglio anche grazie al lavoro che in provincia di Trento si sta portando avanti con le forze dell'ordine, il servizio sociale, quello sanitario, i soggetti del terzo settore che offrono assistenza e accompagnamento alle vittime della violenza e viene ripetutamente confermato che si tratta di violenza domestica, cioè che avviene dentro le mura delle nostre case, dentro le relazioni affettive.
Ogni volta che ci si trova a riflettere dopo un caso eclatante, con l'esito peggiore, cioè il femminicidio, anche i meno esperti sentenziano che si tratta di un problema culturale. È vero! Ma non basta prenderne atto. Se siamo pronti a riconoscere che questo problema deriva dalla discriminazione di genere, dallo sbilanciamento di peso politico, economico e sociale che ancora oggi divide donne e uomini nella nostra società, da una tranquilla sottovalutazione e quindi accettazione di questo, che passa anche attraverso la costruzione dell'immaginario e delle aspettative degli uni e delle altre, su cui si costruiscono relazioni sbilanciate, allora dobbiamo lavorare laddove possibile sulla formazione della cultura.
La legge provinciale dal 2010 ha messo a sistema le azioni di assistenza e consulenza per le vittime, ha però anche previsto azioni di prevenzione che riconoscano alla collettività una responsabilità, perché la violenza sulle donne non è un problema privato, ma una sconfitta pubblica. Si moltiplicano finalmente dopo anni di omertà, i momenti di discussione aperta sul tema, eventi e convegni, sempre molto partecipati, ma soprattutto ci si impegna a lavorare con le giovani generazioni.
È nella scuola, con il supporto di docenti e dirigenti e talvolta anche genitori, che si riesce a ragionare con i più giovani, ad aiutarli a riconoscersi uguale valore tra maschi e femmine, a rispettarsi nella differenza, a costruire future relazioni positive. Anche quest' anno scolastico più di 60 classi delle nostre scuole hanno scelto un percorso di «educazione alla relazione di genere» o «educazione alle pari opportunità», per assumere responsabilmente il modo di fare la propria parte e non assistere con inerzia e fatalismo alla mattanza quotidiana delle donne.
In attesa che nella comunità maturi una diffusa consapevolezza che il problema della violenza sulle donne è in primis un problema degli uomini che, purtroppo, si scarica appunto sulle donne, e quindi che maturi un pensiero pubblico e collettivo maschile, preoccupato di ripensarsi, nel pragmatico Trentino si lavora anche con gli uomini maltrattanti, affinché assumano consapevolezza delle proprie responsabilità, oltre che difficoltà e si possa ridurre il rischio di reiterazione del reato. La violenza sulle donne è un reato e per fortuna, ma anche grazie al grande lavoro di comunicazione portato avanti, tante donne ormai lo sanno e sanno che dalla violenza si può uscire e in sicurezza, rivolgendosi ad una varietà di soggetti pubblici e del privato sociale che in provincia garantiscono aiuto e protezione sia in presenza di denuncia, che in assenza (112 il numero per l'emergenza e la prima assistenza).
Talvolta le vittime faticano a riconoscere la propria condizione e sottovalutano il potenziale di rischio cui sono esposte. Per aiutare le più giovani a riconoscere atteggiamenti e comportamenti persecutori i centri antiviolenza italiani hanno prodotto anche una applicazione per telefoni, con cui interagire.
Il fenomeno dunque è complesso e si stanno facendo in Trentino grandi sforzi per affrontarlo, con tanti attori coinvolti e fortemente attivi, ma la consapevolezza e la vigilanza devono essere un patrimonio collettivo, delle persone, delle donne e degli uomini che non devono girarsi dall'altra parte e devono educare al rispetto e alla correttezza, per costruire un futuro più sicuro e giusto.
Perché le notizie come quella di Tenno non vorremmo più pensarle possibili.