La "domanda retorica" induce a eliminare tutte le affermazioni che contrasterebbero con l'affermazione implicita della domanda stessa. Così wikipedia, vocabolario enciclopedico dei giorni nostri, rinfresca la memoria a chi il concetto di "domanda retorica lo avrebbe dovuto imparare nel corso dei suoi studi. E qui ci leghiamo ai quesiti formulati per i referendum del 22 ottobre, indetti dalle Regioni Lombardia e Veneto in tema di acquisizione di competenze autonomistiche. Lucia Maestri, "Trentino", 1 agosto 2017
Tali quesiti sono l'esplicitazione massima del concetto di "domanda retorica". Vediamoli. Regione Veneto: “Vuoi che alla Regione Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?” Regione Lombardia: “Volete voi che la regione Lombardia, nel quadro dell'unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con relative risorse, ai sensi e agli effetti di cui all'articolo 116 terzo comma della Costituzione?”. Già Umberto Eco, nei suoi «38 consigli di buona scrittura» si chiedeva se "c'è davvero bisogno di domande retoriche?" Direi che potremmo girare la domanda alla Regione Veneto e alla Regione Lombardia. Perchè se da un lato tutti sappiamo che nessun elettore o elettrice delle due Regioni (ammessa la loro partecipazione al voto) traccerebbe la crocetta sul "no" a un simile quesito, dall'altro siamo coscienti che la nostra Costituzione, e non da oggi, permette alle Regioni (con i conti in ordine), proprio in virtù del succitato articolo 116, di aprire con lo Stato un tavolo di concertazione, al fine di vedersi attribuite maggiori competenze nelle materie che hanno a che fare con lo sviluppo dinamico di una comunità regionale. Ma allora?
Se la Costituzione già lo permette, perchè chiedere "al popolo" la facoltà di procedere? Parrebbe sufficiente che le due Assemblee regionali, e a maggior ragione le due Giunte Regionali, si facessero parte attiva di un'interlocuzione, contrattazione, azione, queste sì "autonome" con il governo centrale, sulla qualità e quantità delle competenze (e delle risorse) ulteriormente auto-gestibili dai rispettivi territori. Se lo strumento è dato (perchè è dato) sfuggono, alla comprensione le ragioni di una consultazione popolare. A meno che non risiedano, così come risiedono, in un alveo ben diverso dal raggiungimento del risultato atteso. I due referendum sono, di fatto, "consultivi". Il loro risultato, in concreto, non riveste alcun valore modificativo della norma vigente. Ma allora perchè quei referendum? Dichiarata la mia convinzione circa la necessità che l'Italia si doti di un'articolazione regionale ad "autonomia differenziata" (per usare una felice espressione del prof. Fabbrini), non posso che attribuire alle due regioni in questione un uso strumentale, sul tema, dell'istituto del referendum. Forse a dire che la questione da esso posta (pur nella diversa formulazione) sia stata messa li a mo' di "vessillo" , assunta a parola d'ordine, dal carattere ampiamente rivendicativo, buono a ricomporre una visione "autonomistica" , autocentrata e scarsamente solidale col resto del Paese.
Appare strano che il Trentino rimanga muto di fronte a tale scenario. Uno scenario per altro ben temperato dalle posizioni espresse in merito dal Presidente della Regione Emilia Romagna , Stefano Bonaccini: "Non chiedo più soldi allo stato ma più libertà di gestirli su alcune competenze", "le competenze sulla sanità, sul welfare, lavoro e formazione, impresa, ricerca e sviluppo, ambiente e territorio. In pratica chiediamo la libertà di gestire alcune funzioni. Parliamo di una autonomia fiscale, in parte, ma soprattutto della libertà di decidere dove investire i fondi". (Repubblica, 21 luglio 2017). Il Trentino, consapevole della importanza del "decidere da sè", ma responsabile nei confronti della situazione nazionale, non può che dar man forte, a quelle regioni che, con i conti in ordine, dialogano con lo Stato per acquisire maggiori spazi di autogoverno. Perchè rilanciare (e proteggere) l'Autonomia, non può collimare con il negarla ad altri. Al Trentino, forte della sua pluridecennale esperienza di autogoverno spetta, però, qualche passo in più da compiere, insieme agli amici dell' Alto Adige. Un compito che ha a che fare con la necessaria declinazione della nostra Autonomia come matrice e madre di interdipendenze ifra ed extra territoriali con marcata proiezione verso quell' arco alpino e transalpino vera macroregione europea. A questo compito dobbiamo rispondere, facendo tesoro delle molte elaborazioni, pur contraddittorie, prodotte dalla Consulta e dalla Convenzione nel percorso verso il terzo Statuto. Elaborazioni che dovranno trovare una sintesi virtuosa dentro i Consigli provinciali e dentro il Consiglio regionale, chiamati a rendere il Trentino Alto Adige protagonista della costruzione di un'Europa "terra di minoranze".
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