«Non è più il Trentino di dieci anni fa». Franco Ianeselli lo dice inarcando le sopracciglia, perché dietro un’affermazione banale c’è molto altro. Ci sono due lustri oscuri, bui per molti, durante i quali anche il Trentino ha provato ad adeguarsi al cambiamento. La luce in fondo al tunnel si riflette su una nuova economia e una società in fermento, per le quali non abbiamo ancora risposte pur continuando a porci domande.A. Rossi Tonon, "Corriere del Trentino", 15 luglio 2017
E l’ignoto non rasserena di certo gli animi: «Si percepisce un livello di paura che si declina in diverse forme, soprattutto verso gli stranieri e un futuro incerto, che si trasforma spesso in risentimento e rancore. Sentimenti forti, che ormai hanno superato i livelli di guardia». E adesso? «L’inerzia rischia di condurre a ulteriore disgusto e negatività. A chi fa politica e a chi sta nel sindacato spetta un lavoro duro: coinvolgere le persone».
Segretario, anche lei come il presidente Rossi esprime ottimismo di fronte ai dati del documento di economia e finanza provinciale recentemente presentato?
«Il documento ci consegna l’immagine di un Trentino che ha superato la crisi adattandosi, con grande capacità di tenuta: sono aumentati i disoccupati ma anche gli occupati. Oltre al Def ci sono altri dati Ispat a completare il quadro, i quali evidenziano che c’è stato un riposizionamento sulle professioni di media e bassa specializzazione. C’è una ripresa modesta, con stime uguali a quelle per l’Italia ma della metà rispetto all’area euro dove si parla di una crescita del Pil dall’1,7 al 2%. Nel Def si legge anche che dal 2020 le risorse per investimenti saranno poche, cosa che si era detta con il Patto di Milano dove però si sosteneva che per noi la chiave sarebbe stata quella di un tasso di crescita più sostenuto che nel resto d’Italia».
A che livello sta allora il nodo?
«Fin dall’inizio della legislatura il presidente diceva che bastava creare un contesto favorevole e tutto sarebbe andato bene perché nelle imprese non c’erano problemi. Adesso vediamo dal Def che politiche come la riduzione dell’Irap non hanno sortito gli effetti sperati e lo stesso presidente, con la questione delle funivie Folgaride Marilleva, evidenzia che qualche problema nel mondo imprenditoriale c’è. Qui serve la responsabilità del sindacato e della politica, a evidenziare con serietà proprio questo. Poi è chiaro che il pubblico non può creare l’imprenditore però può mettere a disposizione condizioni favorevoli, lavorare sulla nuova imprenditorialità, sostenere chi viene da fuori e l’ingresso di manager esterni dove serve».
Cosa pensa della stoccata di Roberto Busato a Progettone e Agenzia del lavoro?
«Ha ragione quando sostiene che è importante investire di più sulle politiche attive ma non va dimenticato che il Progettone risponde alle esigenze di tante persone. Forse si può pensare di farlo rientrare nell’Agenzia del lavoro perché risponda effettivamente ai bisogni. Va anche detto che in Austria e Germania, dove i centri per l’impiego funzionano, c’è un impiegato ogni 30 utenti, qui siamo a uno ogni 400. Se si punta su quegli strumenti allora bisogna dotarli di strutture adeguate».
Nell’intervista rilasciata al Corriere del Trentino, il consigliere Manica sostiene che durante la legislatura il Pd ha tenuto «la barra ferma» su diritti e le competenze dell’assessorato al Lavoro. É d’accordo?
«Sì, sono convinto che il Trentino sia stato ancora un laboratorio di innovazione sociale. Si pensi al fondo territoriale, alla sanità integrativa, all’intervento a cui stiamo lavorando dell’assegno unico, e a esperienze come quella della Whirlpool in cui si è accompagnato il sostegno alle persone con interventi di ricollocazione. Resta la necessità di spingere per un welfare attivo che stimoli le persone alla crescita ma credo siano tutte caratteristiche costitutive del nostro territorio, tanto che abbiamo proposto di inserire i temi dell’innovazione sociale e del welfare in fase di revisione dello Statuto. Non vorrei che fossero un patrimonio solo del centrosinistra autonomista ma di tutte le forze».
A proposito di Pd, come valuta il percorso territoriale?
«Positivamente. È un approccio utile quello di guardare alle esigenze del territorio, oltre l’orizzonte nazionale».
Ma una tendenza al rinnovamento si coglie nell’intera coalizione. Da cosa dovrebbe ripartire?
«Come sottolineato dallo stesso Manica è importante coniugare il modello di sviluppo con quello della sostenibilità ambientale. Ma dobbiamo anche evitare il rischio di essere una società delle conoscenze anziché della conoscenza, valorizzare il merito e non le relazioni. È una responsabilità forte della coalizione che governa da anni, deve sforzarsi per un rinnovamento, anche di volti, per dire che in Trentino l’elemento centrale sono le competenze».
E quali sono i rischi che corre?
«Resto attonito quando sento politici dare qualcosa per scontato. L’inerzia, stare fermi perché ci si sente costretti a vincere, è il rischio maggiore. Non è più il Trentino di dieci anni fa. Si percepisce un livello di paura che si declina in diverse forme, soprattutto verso gli stranieri e un futuro incerto, che si trasforma spesso in risentimento e rancore. Sentimenti forti, che ormai hanno superato i livelli di guardia e l’inerzia rischia di condurre a ulteriore disgusto e negatività. A chi fa politica e a chi sta nel sindacato spetta un lavoro duro: coinvolgere le persone. La paura potrebbe altrimenti portarli a non votare oppure a farsi attirare da pifferai magici che propongono soluzioni di chiusura o razziste».
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