«Non dobbiamo tornare indietro, non possiamo tornare al trattato di Maastricht. Dobbiamo superarlo muovendoci dal Fiscal compact alla Fiscal capacity». Quella di Giorgio Tonini al libro di Matteo Renzi è, per definizione dello stesso senatore dem, «una critica circoscritta».
A. Rossi Tonon, "Corriere del Trentino", 16 luglio 2017
La contrarietà di Tonini si concentra solo ed esclusivamente sul trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria, in relazione al quale evidenzia la «contraddizione fra il titolo del libro («Avanti», ndr ) e il ritorno al documento del ‘93».
Secono il senatore del Partito democratico «l’equilibrio fiscale è un valore da non disconoscere, fissato dalla stessa Costituzione italiana all’articolo 81 ma spesso infanto, altrimenti non avremmo accumulato un debito di 2.200 miliardi». Fare un passo indietro rispetto al rigore, alla riduzione del debito e il vincolo sul deficit imposti dal trattato sarebbe quindi «pericoloso». Il punto è dunque «andare oltre» e la direzione corretta, secondo Tonini, è quella di «un’area euro dotata di un proprio bilancio, di un Parlamento e di un ministro dell’Economia che consentano di sviluppare politiche espansive». Una proposta originariamente presentata dal presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy «ma rilanciato da Emmanuel Macron, che ha costruito su questo la sua vittoria». Ed è qui che si intrecciano il futuro dell’Italia in Europa, il lavoro svolto dal segretario del Pd quand’era presidente del Consiglio e le critiche di Tonini. «Il governo Renzi ha avuto un ruolo importantissimo, imponendo la linea economica in un momento di difficoltà della Francia, stretta fra le difficoltà di Hollande e l’avanzata di Le Pen — spiega il senatore — Il Pd, con la leadership dei paesi del Mediterraneo e dei partiti socialisti, ha fatto da interlocutore con la Germania, capofila del Ppe e dei paesi nordici». Adesso che Francia e Germania sono tornati a discutere proprio sulla base della Fiscal capacity, «Macron sa di aver bisogno dell’Italia e l’Italia deve sedere a quel tavolo». Lì potrebbe chiudersi il cerchio, perché «un bilancio dell’eurozona che consenta di fare investimenti per la crescita consentirebbe di accendere un nuovo motore per affrontare con più forza la riduzione del debito».
Per quanto riguarda il resto, il libro secondo Tonini «ha il merito di rilanciare questioni di contenuto che vengono consegnate al dibattito pubblico e quindi anche del partito». Un partito che proprio sui contenuti del libro si divide ulteriormente e non sono pochi quelli che al suo interno temono per il rischio di un abbandono da parte di figure come Romano Prodi o Andrea Orlando, mentre Gianni Cuperlo propone di gettare un ponte verso l’area di Pisapia.
«La discussione deve esserci» continua Tonini, ma parlare di contenuti è «il contrario della tendenza che ha la sinistra italiana, quasi una maledizione, per cui quando a ogni dissenso si rompono i partiti». «La progressiva fuoriuscita conduce a partiti che confondono la realtà con la fantasia — conclude il senatore — A quel punto come può essere credibile una collaborare?».
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«La battaglia si fa dentro un grande partito, non a colpi di scissioni. Tutti si dividono in nome dell’unità, ma di questo passo la sinistra dovrà cedere il passo, saranno altri a governare. Pisapia? Ho grande simpatia per lui, ma chi comanda è D’Alema». Giorgio Tonini, senatore Pd da sempre vicino a Matteo Renzi, vede ombre minacciose addensarsi all’orizzonte, per il governo e per il centrosinistra. Ma non risparmia critiche nemmeno all’ex premier che ha sempre sostenuto: «La sua ricetta di uscire dal regime di pareggio di bilancio non va».
Senatore Tonini, partiamo appunto da Renzi che nel suo ultimo libro, «Avanti», si scaglia contro l’austerity e il Fiscal Compact. Cosa non le piace? Su questo non sono d’accordo e non da oggi. Il Fiscal Compact è una disciplina che serve a un Paese come l’Italia che ha accumulato un debito gigantesco per finanziare la spesa corrente: è una norma che stabilisce l’obbligo di pareggio di bilancio per gli Stati membri dell’Unione europea, si può fare deficit solo nelle fasi di crisi. Il governo italiano, anche grazie a Renzi, ha potuto usare il Fiscal Compact in modo flessibile, ora però dobbiamo guardare avanti non indietro.
Cosa significa? Che il Fiscal Compact si può superare non tornando a un patto rigido come Maastricht, ma realizzando finalmente un bilancio dell’eurozona per finanziare, anche in deficit, la spesa per investimenti, infrastrutture, ricerca, innovazione, formazione superiore. E rendere così l’Unione Europea più competitiva. Che è l’idea rilanciata dal presidente francese Macron. Intanto però nel Pd non si discute di strategie economiche ma di possibili nuove scissioni...
Riuscirete ad evitare che altri se ne vadano? Questa è una malattia endemica della sinistra, tutti si dividono in nome dell’unità. Io trovo inconcepibile che invece di stare in un partito largo, dove a volte sei in maggioranza e a volte in minoranza, ci sia chi decide di uscire e farsi il suo partitino su misura. Questo non porta da nessuna parte, di questo passo per l’ennesima volta la sinistra dovrà rinunciare al governo del Paese. La realtà è che c’è una parte della sinistra che puntualmente non regge alla prova del governo.
Nel Pd più d’uno della minoranza lamenta una «mancanza di agibilità». C’è un problema di Renzi che non riesce a gestire la democrazia interna? Se chi oggi minaccia di andarsene avesse fatto massa critica e sfidato Renzi al congresso, forse vinceva... La battaglia, ripeto, per me si fa dentro un grande partito. Le scissioni portano a una deriva settaria, dove ognuno deve smarcarsi per distinguersi. Basta vedere Mdp che ormai vota contro il governo perfino sul tema dei vaccini... Contro il governo Gentiloni, non il governo Renzi!
Lei è favorevole al dialogo con Pisapia? Si dialoga con chi vuole dialogare. Io ho grande simpatia per Giuliano Pisapia, ma vedo che lui per primo non si dà grandi chance... Chi comanda da quelle parti è Massimo D’Alema, gli altri mi sembrano personaggi di contorno. Lui ha deciso la scissione. E quando si esce da un partito, poi il dialogo è difficile. Soprattutto con chi oggi descrive quanto fatto dal governo Renzi come una deriva di destra.