«Provinciali, la coalizione si apra a sinistra. Il Pd? È un treno che perde passeggeri»

«Il Partito Democratico è come un treno in corsa che perde passeggeri. C’è chi scende di sua spontanea volontà e chi è spinto a buttarsi a terra dallo stesso capotreno: Matteo Renzi. Ed io, sono sulla porta. Da qui, mi guardo intorno». Si descrive così Bruno Dorigatti, presidente del Consiglio provinciale di Trento, uomo del Pd e dal Pd amareggiato, chiamato a riflettere sul presente, ma soprattutto sul futuro, del suo partito.
S. Pagliuca, "Corriere del Trentino", 5 luglio 201

 

Un orizzonte che oggi più che mai appare incerto e frammentario. Del resto, per tutti, vale la lezione Macron.

Presidente, gli ultimi giorni sono stati di grande fermento per la sinistra italiana. Cosa pensa del progetto di Pisapia e Bersani, Insieme, e del suo esordio nella manifestazione di Roma?

«Lo guardo con attenzione, ma non me ne rallegro e soprattutto ritengo impossibile una riconciliazione. È un periodo molto difficile: sono amareggiato per quello che sta accadendo nel Partito democratico. Gli abbandoni, siano essi di politici, nonché di militanti e di elettori, dimostrano che sono state fatte scelte sbagliate».

Di questo incolpa Renzi?

«Renzi è stato ed è troppo arrogante, dovrebbe fare un passo indietro e cercare il dialogo. Ha reso il Pd un partito liquido, gassoso, ma deve rendersi conto che l’epoca dei leaderismi è terminata. È tempo delle idee e dei progetti. Serve un’identità chiara e anche un pizzico di utopia».

Pisapia ha detto che «si batterà per i diritti del lavoro, nel lavoro». Lei ha un passato da sindacalista ed è tutt’ora molto attento ai temi dell’occupazione e della tutela dei redditi per le categorie più deboli: non è affascinato neanche un po’ da questo nuovo progetto?

«È certamente molto interessante, ma al momento resto a guardare. Il Pd è come un treno in corsa con un capotreno che non esita a buttare fuori chi non la pensa come lui. C’è tanta gente che ha sostato a lungo sulla porta prima di andar via e poi è stata costretta a saltare a terra. Non biasimo chi lo ha fatto, anzi, comprendo. Se il Pd continuerà a spostarsi verso destra, molti altri se ne andranno».

E lei?

«Io sono sulla porta. E ancora non salto a terra».

Le vicende nazionali hanno inciso anche a livello locale. Cosa pensa della fuoriuscita dei quattro consiglieri comunali di Trento: Salizzoni, Scalfi, Bungaro e Carlin?

«Non so quali rapporti avessero in Comune, se ci fossero delle tensioni, ma se hanno fatto questa scelta per differenze inconciliabili rispetto alla linea del segretario nazionale, comprendo. Il Trentino non è immune alle dinamiche nazionali».

Già, nel 2018 però ci saranno le elezioni per la Provincia. Come deve prepararsi il Pd a questo appuntamento?

«Dobbiamo lavorare per cantierare l’attuale coalizione, aprendo a sinistra. In questo senso, a livello nazionale, ben venga l’atteggiamento conciliante di Prodi. A livello locale, però, spetta a noi il compito maggiore e dobbiamo dimostrare più coraggio».

Il Pd può avere la forza per essere leader di questa coalizione?

«Certo. Il Pd deve avere la leadership ed è importante anche lo sforzo che stiamo facendo per rendere il nostro un partito territoriale e confederato. Sono convinto, infatti, che la dimensione territoriale sia quella vincente e per questo dovremmo riuscire a garantire maggiore autonomia al partito locale, senza perdere il contatto con il nazionale. Questa revisione va per altro di pari passo con la revisione dello Statuto, nell’ottica di un’Autonomia più moderna che deve basarsi su principi di partecipazione, responsabilità e condivisione. Insomma: stiamo attenti al rischio di corse solitarie».

Lei si ricandiderà?

«È presto per dirlo. Per ora mi limito a guardare ciò che accade attorno a me».

Intanto però, circolano alcuni nomi: Giorgio Tonini in Provincia, Donata Borgonovo Re a Roma e il vicepresidente Alessandro Olivi pronto a giocare in casa, in Trentino. Cosa ne pensa?

«Preferisco non esprimermi. Non è il tempo di parlare delle persone ma dei programmi. Per altro, qualunque nome si faccia circolare in questo momento, rischia di essere bruciato stando sulla graticola per un anno. Ho sentito anche parlare di un sindaco donna per il Comune di Trento e mi sento di dire che il Trentino può essere maturo per questa possibilità, ma non è questione di genere, quanto piuttosto di idee, di capacità di dialogo, di visione. In ogni caso, è presto per parlarne, ora abbiamo tutti un solo compito: ricompattare. Altrimenti non arriveremo abbastanza preparati a nessuna elezione».

Il Pd trentino ha qualcosa da rimproverarsi?

«Sì, anche noi abbiamo un mea culpa da fare: abbiamo messo fuori tante persone che lavoravano per il territorio, uno su tutti Alberto Pacher. È tempo, dunque, di costruire un nuovo patto di partito interno alla coalizione del centrosinistra con cui potremo essere davvero motore di innovazione. E per farlo, dovremo fare attenzione alle classi dirigenti e recuperare il rapporto con le comunità. Quello che è accaduto in Francia deve essere d’insegnamento: il partito socialista si è polverizzato perché aveva perso il contatto con la società. Del resto, alle persone non interessano i nomi dei candidati o le discussioni sulle leggi elettorali, ma i progetti concreti. Ribadisco: dobbiamo recuperare su scuola, disuguaglianze, immigrazione, lavoro, tutti temi su cui abbiamo fallito. Lo stesso Jobs Act è stato uno straordinario insuccesso».

A proposito di temi concreti: il Censis ha premiato l’ateneo trentino indicandolo come secondo in Italia tra gli atenei di medie dimensioni. In che modo ne beneficerà il territorio?

«Il riconoscimento dimostra l’alto livello delle docenze e dei progetti formativi e scientifici della nostra università, ma testimonia anche il legame con il territorio e la sinergia indispensabile fra l’università e le istituzioni, proprio come voleva Bruno Kessler. E ancora di più, oggi, dev’essere implementato e potenziato il rapporto fra l’Autonomia e l’università, fino alla possibilità giuridica e politica di inserirlo in un eventuale testo di nuovo Statuto d’autonomia. Solo così il Trentino potrà guardare con nuova speranza al futuro e rilanciare le plurali e forti ragioni della propria specialità».