Matteo Renzi, Aristotele e l’Ulivo perduto

L’Italia e l’Eurozona stanno pian piano entrando in quel periodo in cui la banca centrale inizia a ridurre l’acquisto di titoli di stato avviando così la fase finale del «quantitative easing» (Qe).
Gabriele Hamel, "Corriere del Trentino", 2 luglio 2017

 

Il massiccio programma della Bce ha già visto da circa tre mesi la riduzione degli acquisti dei titoli di stato europei da 80 miliardi di euro a 60 mensili, con Mario Draghi che ha definito tale avvenimento come «ritaratura» del Qe rassicurando i creditori; creditori che però non sembrano convinti che la Germania consentirà al governatore della Bce di proseguire oltre il naturale mandato dell’Eurotower di aggiustamento durevole dell’evoluzione dei prezzi coerentemente con l’obiettivo programmato di inflazione. Scongiurato il pericolo di destabilizzazione della Francia con la vittoria dell’europeista Macron, è ora l’Italia al centro delle attenzioni internazionali. Il Paese si trova a un bivio, stretto tra crisi bancaria, migratoria e sociale.

La prima strada è rappresentata dall’unità e consiste nel dare legittimazione al governo Gentiloni al fine di completare la legislatura, rafforzare la credibilità accresciuta con il «G7» di Taormina, rinsaldare l’asse con Parigi e Berlino, sgonfiare le forze euroscettiche attraverso riforme quali fine-vita, cittadinanza, reato di tortura, nuovo codice antimafia. E ancora, assicurare l’affidabilità nazionale sui mercati nello scenario della progressiva fine del Qe e preparare il terreno per la successione di Draghi all’Eurotower (novembre 2019) entrando in partita come big player e non come cenerentola mediterranea. La seconda strada porta all’arroganza e alle divisioni.

Matteo Renzi ha vinto il congresso del Pd promettendo una legge elettorale maggioritaria e un’ordinata conclusione della legislatura; quaranta giorni dopo ha provato ad accordarsi con Silvio Berlusconi e le due forze antisistema per una legge proporzionale e le elezioni politiche anticipate. Saltato il progetto grazie all’approvazione dell’emendamento Fraccaro-Biancofiore, le contraddizioni renziane sono esplose anche agli occhi dell’elettorato di centrosinistra il quale, smarrito e frastornato, non si è recato alle urne nell’ultima tornata elettorale.

Un uomo delle istituzioni dovrebbe comprendere quando il suo tempo politico è terminato. Scomodando l’Ariosto, ritengo che il segretario del Pd abbia perso il senno, innamorato non della bella Angelica, ma del proprio ego. Con il sistema elettorale vigente e stante l’attuale scenario politico fotografato dagli istituti demoscopici, il prossimo governo potrà essere garantito lavorando unicamente su due possibili maggioranze. Una formata da Pd e Forza Italia, che però difficilmente avrà i numeri per governare in ambo le camere. È lo scenario che alletta di più Renzi e Berlusconi. La seconda vede invece la ricostruzione del centrosinistra sul modello milanese di Giuliano Pisapia. Il Pd tornerebbe così fulcro tra le forze ecologiste e di sinistra e le energie civiche moderate presenti nei territori, compreso il Trentino. Per attuarlo è necessario parlare il linguaggio della realtà e superare gli elementi di divisione, il principale dei quali ha un nome e cognome: Matteo Renzi.

Il Partito democratico dovrà, quindi, decidere se essere elemento politico di stabilità oppure di caos istituzionale. Questo è il senso dei preoccupati appelli dei fondatori dell’Ulivo, nei quali si ribadisce che le ambizioni personali dovrebbero sempre retrocedere davanti al bene comune.

Mi ritrovo molto nella politica di Aristotele che definisce l’uomo come «animale politico». L’animale politico Renzi dovrà ora dimostrare generosità, apertura mentale e rispetto, ma non mi illudo: sono doti che non hanno mai fatto parte del suo pedigree.