Possiamo continuare a dire che non c’è nessun problema, o che se un problema c’è è la non sufficiente e completa renzianizzazione del Pd e delle sue articolazioni territoriali. Oppure possiamo fare un’analisi un po’ più all’altezza della situazione, senza catastrofismi ma che non si limiti alla ricerca di una scusa o di un nemico purché sia.
Alessio Manica, "Corriere del Trentino", 2 luglio 2017
Io credo che il Pd abbia «non vinto» le recenti elezioni amministrative perché ha smarrito molta della sua identità e dato tanti segnali disorientanti e poche risposte alle domande del Paese. Si paga l’aver goduto di chi se ne andava, l’aver negato a lungo l’esistenza di un problema, l’aver glissato sui cattivi risultati delle amministrative 2016 (quelle di Roma e Torino), del referendum costituzionale e ora della nuova tornata amministrativa. Forse ora è il caso di fare un’analisi più seria, impegnarsi nella costruzione di un progetto politico che vada oltre una legge elettorale, una strizzata d’occhio a destra e a manca o a ipotesi coalizionali da calciomercato («da Pisapia a Tosi»). Se continuiamo a negare le sconfitte scivoleremo nel ridicolo, e che l’arretramento sia arrivato così netto proprio sulla dimensione comunale certifica tra l’altro la difficoltà crescente a essere presenti nella quotidianità delle persone.
In questi tre anni si è badato solo all’immagine nazionale, vanificando le molte cose buone fatte per l’ansia di strafare, smarrendo molto di ciò che la nascita del Pd aveva portato con sé. Ma ci sono anche altri dati da valutare. Il partito fatica a vincere i ballottaggi, che saranno sempre più frequenti dato il contesto tripolare; mentre altri riescono a catalizzare un voto «anti» (sistema, Pd, migranti ecc.), i democratici sono soli perché non hanno costruito alleanze trasparenti, solide e di lungo periodo. I casi positivi da cui prendere spunto non mancano: da Trento a Milano, da Padova a Palermo.
La ripartenza passa secondo me dalla credibilità della proposta riformista e progressista del centrosinistra e dalla coltivazione di una nuova dimensione fatta di maggiore apertura, ritorno ai territori, programmi e idee. La vocazione maggioritaria del Pd non può trasformarsi in solipsismo, ma va esercitata all’interno del campo del centrosinistra attraverso la costruzione di una piattaforma aperta e in grado di aggregare le anime riformiste disponibili a farsi carico responsabilmente del governo del Paese. Che non significa certo creare coalizioni da tenere assieme con la colla vinilica.
Bisogna ritornare poi tra le persone, tra quelle che sono rimasta a casa (la prima forza del Paese) e quelle che hanno votato altre forze politiche. Per farlo urgono programmi che siano radicalmente riformisti e con al centro lavoro, crescita, redistribuzione, progressività del fisco, green economy, tutele sociali, periferie, casa, servizi pubblici. È grazie all’investimento degli ultimi anni su questi temi se in Trentino possiamo rivendicare qualcosa. Temo che il Pd provinciale in questo momento non stia molto meglio del nazionale.
Stupiscono alcune riflessione di questi giorni, che invitano a una maggiore azione territoriale. Torno al congresso provinciale di un anno fa. La mozione che sostenni, poi rivelatasi minoritaria, diceva: un partito utile al Trentino è solo quello capace di stare sui e nei territori, di coltivare la propria autonomia politica adattandola alla specificità della nostra provincia. L’altra mozione diceva che l’unico destino per il PdT doveva essere quello dell’omologazione romana. Delle due l’una, non si può sempre cambiare idea in base alle contingenze.
Al partito serve in fretta un progetto politico nuovo che non può prescindere da un maggior radicamento nei territori. Ha ragione Dellai quando dice che il Trentino può continuare a essere un laboratorio politico e tenere lontani populismi e antipolitica, solo coltivando la propria anomalia e investendo sulla coalizione di centrosinistra autonomista. Dobbiamo allora cambiare passo perché non c’è nessun’altra proposta politica credibile al centrosinistra autonomista. Ma perché sia ancora vincente va esercitata come mai prima d’ora la dimensione coalizionale. Non possiamo limitarci alla buona amministrazione.
Il progetto politico da mettere in campo deve valorizzare le molte potenzialità della nostra terra ed essere coraggioso ed europeo. C’è bisogno però di nuova classe dirigente. E qui rivolgo un invito alle forze civiche: il buon governo non è monopolio del civismo e da solo non basta per un grande progetto per il Trentino; invece di invocare l’azzeramento di un’esperienza positiva come il centrosinistra autonomista,apriamo assieme il cantiere politico e costruiamo il futuro. Domani l’assemblea provinciale del Pd parlerà — finalmente — del proprio sviluppo territoriale, partendo da un bel documento: potrebbe essere l’inizio di una fase nuova.