C' è poco da fare: dopo una sconfitta netta e pesante, come quella che hanno subito il Pd e il centrosinistra alle ultime elezioni amministrative, una riflessione approfondita e una discussione aperta sono necessarie e urgenti.Giorgio Tonini, 30 giugno 2017
E tuttavia, un conto è riflettere e discutere, un altro conto è scatenare una rissa confusa e disordinata, dalla quale rischiano di uscire malconci non solo leader di oggi e di ieri, ma perfino beni comuni dal valore inestimabile, come il partito che abbiamo penato e faticato tanto a costruire, o l'azione di governo che abbiamo condotto in questi anni e che sta cominciando a dare i suoi buoni e solidi frutti.
Partiamo da quest'ultimo bene comune: l'azione di governo. Nei giorni scorsi, preso dalla rissa che sta impazzando nel centrosinistra, Pierluigi Bersani ha accusato il Pd e il governo Renzi di aver fatto in questi anni una politica economica e sociale «di destra», che ha aumentato le disuguaglianze sociali. È una tesi che si sente ripetere continuamente, dalla sinistra interna o esterna al Pd. Ed è una tesi che, se fosse fondata, equivarrebbe a un giudizio di fallimento su tutta la linea. Ma è fondata questa tesi? Si può dire che in questi anni, a causa delle misure prese in particolare dal governo Renzi, disuguaglianza e povertà siano aumentate? La risposta è no. Anzi, per la prima volta dopo tanto tempo, disuguaglianza e povertà hanno cominciato, sia pure lentamente, a diminuire. Lo ha certificato, solo pochi giorni fa, il rapporto dell'Istat sulla redistribuzione del reddito in Italia.
«Le principali politiche redistributive del periodo 2014-2016 (bonus di 80 euro, aumento della quattordicesima per i pensionati e sostegno di inclusione attiva) - si legge nel rapporto - hanno aumentato l'equità della distribuzione dei redditi disponibili nel 2016 (l'indice di Gini è passato dal 30,4 al 30,1) e ridotto il rischio di povertà (dal 19,2 al 18,4%)». Dunque, il Governo Renzi, anche se Bersani non se ne è accorto, è stato un governo riformista di centrosinistra, un governo che le gravi diseguaglianze che pesano sulla società italiana, ha cominciato a ridurle: coi fatti, certificati dai numeri dell'Istat, e non a chiacchiere. Detto questo, le riforme, per definizione, non sono mai perfette e definitive. Vanno valutate nei loro effetti, con serietà e pragmatismo. Se dimostrano limiti e difetti, vanno corrette. L'Istat, ad esempio, mette in evidenza come l'impatto delle tre citate misure volute dal governo Renzi, sia stato più forte tra gli anziani, mentre abbia appena sfiorato i giovani. Questo è un limite del nostro lavoro, certamente non intenzionale, ma grave e che va corretto. E infatti, a questo obiettivo, quello di dare migliori opportunità di vita e di lavoro ai giovani, dovrà innanzi tutto puntare la manovra di bilancio prevista per questo autunno. È troppo chiedere una discussione così, non ideologica, non alimentata da rancori e risentimenti, ma ispirata al sincero intento di fare sempre di più e meglio, allo stesso tempo rivendicando e non rinnegando i primi, parziali, ma importanti risultati raggiunti?Il secondo bene comune da proteggere è il Pd. Che non è oggi il partito di Renzi, come non era ieri il partito di Bersani, o l'altro ieri il partito di Veltroni. Il Pd è una proprietà collettiva, dei milioni di cittadine e cittadini che lo votano, che partecipano alle primarie, che si iscrivono. Tutte le donne e gli uomini, le ragazze e i ragazzi che in Italia si sentono parte di quella grande corrente calda che è il riformismo progressista e democratico, europeo e mondiale, sono titolari del diritto di prendere parte alla vita del Pd e di decidere chi lo debba guidare (sempre «pro tempore»), chi lo debba rappresentare nelle istituzioni, e quali debbano essere le priorità programmatiche della sua iniziativa politica. Riflettere e discutere sulle sconfitte alle elezioni amministrative deve allora significare interrogarsi su come scongiurare il rischio di trasformare il Pd in una triste confederazione di correntine, preoccupate solo di assetti di potere e di garantire mediocri rendite di posizione individuali. E come invece consentire al Pd di svolgere appieno la sua funzione di casa comune dei riformisti italiani, aperto all'apporto libero, creativo, critico, di tutte le energie di cambiamento costruttivo delle quali è ricco il nostro paese. Riflettere e discutere non può e non deve invece significare tornare indietro, verso coalizioni confuse e nebulose, composte, a livello nazionale (ben diverso è il centrosinistra autonomista in Trentino e Alto Adige), perlopiù di forze politiche inconsistenti ed effimere, interessate solo a una spartizione oligarchica di quote di rappresentanza e di potere. Forze che, nella migliore delle ipotesi, si mettono insieme per vincere, ma che sappiamo già non saranno in grado di governare insieme. Della storia del centrosinistra va invece recuperato, custodito, valorizzato lo spirito originario dell'Ulivo, il fascino dell'incontro, della contaminazione e della fusione «calda», attraverso forme anche innovative di partecipazione democratica, tra storie, culture, tradizioni diverse, unite dalla stessa preoccupazione di costruire risposte di governo ai problemi dell'Italia e dell'Europa.
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Partito Democratico del Trentino