Il rianimarsi del dibattito politico attorno alle conclusioni alle quali sembrano avviati i lavori degli organismi voluti dai Consigli provinciali di Trento e di Bolzano in materia di una possibile revisione dello Statuto d’autonomia, suggerisce alcune riflessioni anche a chi ha potuto esaminare l’agire complessivo della Consulta trentina e della Convenzione altoatesina da un osservatorio privilegiato.Bruno Dorigatti, "Trentino", 29 giugno 2017
Fuor di diplomazia di circostanza, va anzitutto preso atto del carattere molto più partitico della Convenzione, rispetto all’analisi più volta al sociale e al coinvolgimento largo della Consulta.Un carattere segnato dal preponderante protagonismo delle culture politiche della destra di lingua tedesca e di lingua italiana, che ha, di fatto, evidenziato l’assenza di una vera volontà di costruzione comune dell’eventuale percorso di revisione statutaria, impedendo ad esempio l’avvio comune ed una pista condivisa per i lavori dei due organismi, ponendo anche in luce “nostalgie” che, francamente, si pensavano superate dalla storia. Certamente non sfuggono qui le ragioni e i percorsi politici ed ideologici che differenziano le due realtà e che ne costituiscono anche la particolarità, ma ciò che preme sottolineare è la scarsa lungimiranza di chi, quando il dito indica la luna, si limita a guardare il dito. Va da sé che, con simili premesse e sempre rammentando che di un unico Statuto e di un’unica Regione si tratta, la via di una condivisione matura e consapevole appare avviata verso un percorso irto di ostacoli, riproponendo inutili divisioni che, alla fine, impoveriscono tutti gli attori ed entrambi i territori. Dalla contrapposizione non scaturisce insomma nulla che non sia un pericoloso indebolimento complessivo ed una ulteriore stagnazione delle prospettive future dell’autonomia trentina come dell’autonomia altoatesina. Ma, come sempre, se Atene piange Sparta non ride, perché nemmeno in Trentino sembrano essere state colte tutte le potenzialità che il progetto di revisione porta in sé.
La partecipazione pubblica al dibattito si è infatti dimostrata ben al di sotto delle aspettative, così come il contributo dei corpi intermedi non è sempre parso all’altezza di una tradizione partecipativa che è la cifra identitaria forte della nostra comunità. D’altronde, un certo segnale di disaffezione a tali temi si era già palesato con un sondaggio sulla percezione dell’autonomia da parte della comunità trentina, attraverso il quale emergeva, in modo chiaro, come lo strumento autonomistico ha assunto, nel tempo, le connotazioni di una immutabilità che non risponde affatto al reale. Addirittura una percentuale non irrilevante di intervistati ritiene l’autonomia come un meccanismo sovrastrutturale ormai obsoleto e superato. Il quadro che ne esce è, insomma, tutt’altro che confortante a nord come a sud di Salorno. Eppure tutto questo non può bastare a denunciare una sorta di crisi della sperimentazione avviata, nella consapevolezza, per parafrasare Calamandrei, che l’autonomia, come la Costituzione repubblicana, per farla funzionare ha bisogno di quel quotidiano carburante rappresentato dal bisogno urgente di innovare, di cambiare, di uscire dalle mere logiche di monetizzazione, di cercare strade nuove per restituire propulsione propria all’autonomia. D’altronde, non possiamo dimenticare come l’autonomia del presente si regge, in maniera non secondaria, su norme paracostituzionali, ovvero su contrattazioni pattizie che rischiano il recesso ad ogni stormir di fronda e solo l’inserimento di tali norme in un nuovo Statuto può salvaguardare un impianto complessivo di un’autonomia che guarda al futuro. La storia infatti ci insegna che gli apici dell’impegno e del senso dell’autonomia si sono raggiunti in momenti di grande difficoltà: dal terrorismo separatista sudtirolese alle grandi crisi occupazionali dei primi anni ’80, per giungere al disastro di Stava.
Si tratta di capitoli amari e tragici, ma anche di spinte al cambiamento, alla messa al bando delle autoreferenzialità, alla ricerca di collaborazioni e sinergie, nel solco di quella tradizione politico-culturale del Novecento trentino che vide la coniugazione costruttiva del pensiero popolare con quello riformista e laico e poi con quello autonomista, per dar quindi corso ad un confronto sereno e collaborativo con Bolzano. Nella consapevolezza che la difesa e il rilancio dell’autonomia non è appannaggio esclusivo della politica, credo che tutti siano oggi invitati ad uno sforzo comune, senza distinzione di ruoli e compiti. Lanciare infatti anatemi e campagne di stampa contro la politica e le Istituzioni in genere serve a poco, mentre è indispensabile una chiamata alla corresponsabilità collettiva, quasi come il suono delle campane dei nostri paesi allo scoppio di un incendio. Forse un ritrovato senso del fare e dell’essere comunità coesa, a partire dalla politica, potrebbe non rivelarsi inutile, perché quando la casa del vicino brucia, anche la nostra può prendere fuoco.
Seguici su YouTube
Partito Democratico del Trentino