Lunedì ho partecipato a Trento, con alcuni colleghi parlamentari, all'audizione organizzata dalla Consulta per la riforma dello Statuto di Autonomia per discutere del documento preliminare. Nel mio intervento, ho sottolineato come riflettere sull'opportunità di un Preambolo sia molto utile perché ci costringe a ragionare sulla nostra identità.
Michele Nicoletti, 16 giugno 2017
Esso deve però essere fortemente condiviso, altrimenti il rischio è che diventi divisivo mettendo in ombra il reale terreno del convergere rappresentato dal testo vero e proprio dello Statuto.
La vera forza delle Costituzioni sta infatti nella comune accettazione di principi e norme.
La Regione trova nella tutela dei diritti delle minoranze linguistiche il suo fondamento e per questo va mantenuta la natura tripolare dell'assetto e la distinzione tra il momento regionale, più ordinamentale e di tutela dei diritti fondamentali, e il momento amministrativo, ormai prevalentemente in capo alle Province.
Il ruolo di garanzia delle minoranze potrebbe essere maggiormente sviluppato in capo alla Regione anche in considerazione dell'attenzione odierna a nuovi diritti degli individui.
Dobbiamo pensare alla Regione del domani come una cornice comune, sia pure articolata nelle due comunità provinciali, di tutela dei singoli e delle minoranze.
Va inoltre rafforzato l'incastonamento dell'autonomia speciale nella trama delle relazioni europee, del diritto europeo e delle istituzioni europee, prevedendo la possibilità di rafforzare gli strumenti di cooperazione euroregionale e transfrontaliera, ambiti nei quali la Regione dovrebbe esercitare un ruolo più incisivo.
Infine, il rinnovamento delle istituzioni autonomistiche deve coinvolgere anche piani diversi, come il piano legislativo, procedurale e regolamentare.
La legittimazione e il rafforzamento dell'autonomia passano anche per l'introduzione di strumenti innovativi a questi livelli.
Di seguito, alcune brevi riflessioni sul Documento preliminare di riforma dello Statuto di Autonomia, che ho espresso oggi pomeriggio in occasione dell’audizione con la Consulta.
La prima riguarda l’utilità e l’opportunità di un Preambolo allo Statuto. Riflettere su un eventuale Preambolo è molto utile perché costringe tutti a ragionare sull’identità della propria comunità. Tuttavia, a differenza dei Preamboli nati “a caldo” nel momento della fondazione di una comunità (basti pensare ai Preamboli contenuti nella Costituzione americana o tedesca, quasi “sgorgati” spontaneamente da un sentire comune…), i Preamboli nati a “freddo” non sempre sortiscono l’effetto desiderato. Penso all’esperienza dell’Unione Europea in cui ancora oggi si discute su ciò che c’è e su ciò che non c’è.
Se non c’è una forte e diffusa condivisione, il Preambolo può risultare insignificante o addirittura divisivo, quasi mettendo in ombra il reale terreno del convergere, ossia il testo vero e proprio dello Statuto. In fondo la Costituzione repubblicana non ha Preambolo e ciò non è affatto una sua debolezza. Questo non significa non tentare di scrivere assieme un Preambolo, ma significa farlo con la dovuta discrezione e con la sapienza di chi sa che la vera forza delle Costituzioni, degli Statuti e delle Dichiarazioni dei Diritti non sta nelle ragioni che motivano un accordo – che possono essere diverse e tutte rispettabili – o nella storia che ha portato ad un’intesa – che può essere anche plurale – ma nella comune accettazione di principi e norme.
La seconda riguarda il tema dei diritti. L’autonomia speciale è radicata nella tutela dei diritti delle minoranze linguistiche che sono, in Costituzione e nelle Carte internazionali, diritti fondamentali della persona. Ora la Regione trova qui il suo fondamento e giustamente va mantenuta la natura tripolare dell’assetto e la distinzione tra il momento regionale, più ordinamentale e di tutela dei diritti fondamentali, e il momento amministrativo, ormai prevalentemente in capo alle Province. A me pare che questo ruolo di garanzia delle minoranze, ma di tutte le minoranze e quindi delle persone, potrebbe essere maggiormente sviluppato in capo alla Regione anche in considerazione dell’attenzione odierna a nuovi diritti degli individui (legati al genere, all’orientamento sessuale, all’età, alla condizione). In questa direzione si può valorizzare la competenza in materia di gestione del personale amministrativo della Giustizia attribuita all’ente regionale e pensare alla Regione del domani come una cornice comune – sia pure articolata nelle due comunità provinciali – di tutela dei singoli e delle minoranze. Qui sì potrebbe essere messa alla prova l’esistenza di una storia comune, di comuni tradizioni, di un comune sentire e la Regione potrebbe trovare un suo ruolo, come arena di discussione e decisione su temi tanto delicati e attuali. Un modo anche di riavvicinarla ai cittadini. Ciò senza negare un suo rafforzamento, come è scritto, sul piano delle competenze ordinamentali, amministrative, di coordinamento e di cooperazione.
La terza questione riguarda il tema dell’apertura internazionale. L’origine e la legittimazione dell’autonomia riposa in una storia e in accordi che sono tipicamente internazionali. Senza questa origine, che va rinnovata, la nostra specialità si annacqua. Anche su questo piano va rafforzato l’incastonamento dell’autonomia speciale nella trama delle relazioni europee, del diritto europeo e delle istituzioni europee, non solo sottolineandone il ruolo nel processo ascendente e discendente dai territori locali all’Unione e viceversa, ma anche prevedendo la possibilità di rafforzare gli strumenti di cooperazione euroregionale e transfrontaliera, ambiti nei quali la Regione dovrebbe esercitare un ruolo più incisivo.
Un’ultima osservazione. Il lavoro della Consulta si concentra evidentemente sulla riforma dello Statuto. Tuttavia il rinnovamento delle istituzioni autonomistiche deve coinvolgere anche piani diversi, e pure cruciali, come il piano legislativo, procedurale e regolamentare. Penso alla legge elettorale e alla questione di genere (che pure potrebbe trovare menzione nello Statuto come in Costituzione). Penso alle inammissibili pratiche ostruzionistiche. Penso alla necessità di introdurre per le nostre Assemblee Legislative dei Codici di Condotta (come nel Parlamento Europeo e nel Parlamento italiano) per garantire al di là dei vincoli di legge il rispetto di principi e norme di deontologia ed etica pubblica. La legittimazione e il rafforzamento dell’autonomia passano anche per l’introduzione di strumenti innovativi a questi livelli.