«Se il presidente della Provincia Ugo Rossi ha voluto ricordarci, con poca eleganza, che a pagare gli stipendi è lui, ha anche dimostrato (scientificamente, come direbbe il governatore), che l’autonomia garantita dall’articolo 33 della costituzione alle Università italiane a Trento non vale» osserva Stefano Zambelli, professore ordinario ad Economia.
G. Tessari, "Trentino", 13 giugno 2017
Insomma forte perplessità. Se non una vera e propria levata di scudi. Il mondo universitario (o almeno una sua parte) fa sapere di non avere compreso l’affondo del governatore nei confronti del professor Gaspare Nevola che aveva parlato di un’Autonomia che deve cercare nuove ragioni per essere perpetrata, aldilà della buona amministrazione: «La stessa università in cui insegna il professor Nevola si deve all'Autonomia, senza la quale l'Università a Trento non ci sarebbe stata. E neanche Sociologia in Italia. Il suo stipendio viene da una scelta che ha fatto l'Autonomia» - aveva tuonato Rossi.
Ma prima di tornare a Zambelli, ecco il parere di un docente universitario che ora indossa i panni del parlamentare, Michele Nicoletti: «L'invenzione di Kessler è stata profetica su due versanti: creare un'Università a Trento per rispondere a bisogni formativi e di ricerca. Oltre a dare vita ad un laboratorio di idee con professori che interloquissero con la politica. Un problema tutto italiano (rispetto agli Stati Uniti o alla Germania) è quello della mancanza di dialogo tra politica/istituzioni e scienza/cultura. Qui da noi si è realizzata molto bene la prima parte, meno bene la seconda. E, visto che noi diciamo spesso di voler assomigliare al mondo tedesco, lì i partiti politici danno vita a delle fondazioni e a dei centri studi che diventano dei laboratori di idee. In Trentino non è così: quando il politico deve prendere delle decisioni consulta dei tecnici che gli arrivano non si sa bene da dove». Osserva ancora Nicoletti: «Politica ed Università sono due mondi che dialogano troppo poco. L’accenno fatto da Rossi sul fatto che Nevola è pagato con risorse provinciali? Non mi pare centrato. Cosa vuole dire? Anche la scuola è provinciale, gli insegnanti sono pagati dalla Provincia ma sono tutelati dall'autonomia di pensiero che garantisce la Costituzione, dove si dice che la scienza e le arti sono libere. Ci mancherebbe altro. Non è che si può dire “ti pago e allora devi dire quello che va bene a me”. Semmai si dovrebbe dire “ti pago e quindi devi essere libero”» chiude il parlamentare.
Il ragionamento del professor Stefano Zambelli si spinge ancora più in là: «Purtroppo l’intervento di Rossi, indispettito nei confronti del collega Nevola, non fa altro che confermare l’ingerenza della Provincia nei confronti dell’Università. A parte la caduta di stile insita nel riferimento allo “stipendio”, la frase di Rossi è poco chiara. Può voler dire che tempo addietro i rappresentanti dell’autonomia decisero di istituire una Università in questo territorio. Ma tante Università sono nate anche in Regioni non autonome, quindi non ci sarebbe nessun merito particolare. Oppure il presidente si riferisce al fatto che dal 2011, dopo l’accordo di Milano, è la Pat che finanzia l’Università. In tal caso l’affermazione sarebbe di eccezionale gravità» osserva il docente. Che continua: «Chi è il presidente Rossi per discutere l’autorevolezza scientifica del collega? Quali sono le sue argomentazioni? E cosa vuol dire è ora di finirla? Lui non è un cittadino come tutti gli altri. Ha degli strumenti che altri cittadini o professori universitari non hanno. Se dice “è ora di finirla” può essere benissimo interpretata come minaccia concreta». La morale del docente: «Visto che gli stipendi agli universitari li paga l’Autonomia, perché non restituire la delega allo Stato? In quel caso gli stipendi tornerebbe a pagarli Roma (così come accadeva prima del 2011). Nel contempo l’ Autonomia si libererebbe del peso di doverne sostenerne il costo. Si può fare. Basta che Rossi lo chieda. Ma siamo sicuri che alla Provincia convenga?Negli ultimi anni il debito di Piazza Dante nei confronti dell’Università di Trento è salito a 220 milioni di euro (440 miliardi delle vecchie lire). Di fatto la Provincia non ha mantenuto, da quando l’Università è di fatto provincializzata, le sue promesse. L’Università è servita come se fosse una specie di Bancomat. Non versando per cassa quanto dovuto all’Università si sono potute effettuare altre operazioni».