Ateneo, prima la norma attuativa

Roberto Pinter, "L'Adige", 2 febbraio 2010
Caro direttore,

come commissario dei dodici, raccolgo immediatamente l’invito al dibattito sul futuro dell’Università di Trento.

Il suo editoriale coglie tutta la delicatezza e l’importanza della partita che si è aperta con l’accordo tra governo e Provincia che prevede la delega in materia di Università. Da però per scontato che sarà solamente attraverso la legge provinciale che si giungerà a definire il come sarà esercitata la delega. Io credo invece che, ferma restando la competenza legislativa provinciale, sia invece anche opportuna ancor prima che necessaria una cornice definita da una specifica norma d’attuazione. Necessaria  perché prevista dalla legge finanziaria che all’articolo 125 recita “ fino alla emanazione delle norme di attuazione che disciplinano l’esercizio delle funzioni delegate..lo Stato continua ad esercitare le predette funzioni”. Ma anche opportuna, ricordo infatti che la previsione della delega in materia di Università è giunta, se non inattesa quanto meno affrettata, al punto che non sappiamo nemmeno se e in che misura il competente ministero sia stato coinvolto. E’ evidente che per il ministero sia un onere finanziario in meno, ma spero che ci sia ancora un residuo di Stato tale da porsi il problema di raccordare la novità “trentine”rispetto al resto dell’ordinamento.

Inoltre si pone un problema che se non ha il peso della incertezza finanziaria ha senz’altro la forza di diventare una fonte di instabilità della nuova normativa provinciale in materia, ed è quella norma, prevista dalle legge statale che ha ratificato l’accordo Provincia -Governo,e che afferma che la delega va esercitata nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale oltre che dell’articolo 33 della Costituzione.

Ora  non sono d’accordo con lei quando afferma che queste “..sono poche righe che non dicono nulla”, dicono molto invece sia perché ribadiscono la libertà dell’insegnamento e l’autonomia delle Università che non possono certamente essere compromesse da una gestione provinciale sia perché il rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale può limitare severamente l’esercizio della delega. Ad esempio se giungesse a termine l’iter legislativo della riforma delle Università si dovrebbe fare i conti con norme estremamente dettagliate che metterebbero in seria difficoltà la Corte costituzionale, chiamata sicuramente a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della futura legge provinciale. La giurisprudenza evidenzia che nel passato la Corte ha sovente riconosciuto norme particolari come principi fondamentali, per cui se non si vuole procedere sotto la cappa del rischio di incostituzionalità sarebbe utile definire con Norma di attuazione in che misura e in quale cornice si eserciterà la delega, così da indirizzare anche la legislazione statale in materia.

In altre parole prima della legislazione provinciale ritengo utile una Norma d’attuazione che renda il processo più stabile e la competenza delegata più forte e che assicuri anche il necessario accordo e raccordo tra Ministero e Provincia.

Di questo come delle altre previsioni contenute nell’accordo Stato Provincia si occuperà prossimamente la Commissione dei dodici.

Il passaggio che invece mi convince è quello della partecipazione ampia e trasparente di tutte le componenti al dibattito sul contenuto della “provincializzazione”.Questa è una condizione essenziale condivisa da Provincia e Università, sia per evitare che il tutto  si concluda con una accordo tra Rettore e Presidente , che dopo il passaggio forzato sul federalismo non sarebbe per nulla accettabile, sia per evitare che quello che è accaduto con la riforma provinciale dell’istruzione superiore e sia infine perché è troppo importante il futuro dell’Università per essere rinchiuso in poche stanze.

Non credo che l’Università corra i rischi di una deriva provinciale e asfittica, l’autonomia dell’Università non è meno forte nel tempo di quella delle Istituzioni dell’Autonomia, ma senz’altro si può correre il rischio di sprecare una grande opportunità, che non può certamente essere compressa da esigenze di cassa o da esigenze da piccola bottega, ma nemmeno ridursi a pagare a piè di lista senza pretendere l’eccellenza rispetto alla rete universitaria e della ricerca a noi equiparabile.

Pur non condividendo la stroncatura della riforma trentina della scuola, senz’altro condivido la pesante bocciatura per il metodo e per le carenze nella strategia. E per questo sollevo un altro tema che viene prima dell’idea di Università del Trentino, ed è quello che riguarda le risorse umane che la Provincia è in grado di mettere in campo per garantire l’azione di indirizzo, nonché la capacità di controllo e valutazione. Se le risorse sono quelle che abbiamo visto recentemente all’opera nell’attuazione della riforma della scuola trentina, allora devo dire che non sono all’altezza: o si offre il meglio per una sfida che richiede il meglio oppure avrà ragione chi teme la provincializzazione.

Propongo di partire da una solida cornice giuridica, da un confronto aperto, dalla condivisione dei principi e degli obiettivi oltre che delle risorse, e dalla individuazione delle competenze necessarie per affrontare la sfida.