Il PD ha archiviato le primarie del 30 aprile, le ennesime dalla sua nascita. Un elemento statutario, forse identitario, caratterizzante la sua breve ma intensa storia. Un bel momento di democrazia e di partecipazione nell’epoca del disgusto verso la politica, che ha catalizzato per settimane l’attenzione della politica e dell’opinione pubblica riaffermando la centralità del PD nelle dinamiche politiche ed istituzionali del Paese.
Alessio Manica, "Trentino", 19 maggio 2017
Fin qui, tutto bene. A riflettori spenti, però, ritengo doveroso e salutare analizzare anche i punti critici delle ultime primarie.
tanto a livello nazionale quanto locale. Il nodo dell’affluenza innanzitutto: il declino in dieci anni è impietoso, per alcuni territori forse preoccupante. Non è solo una questione di numeri, che la politica non può ridursi alla matematica, ma anche di natura di quei voti (e volti) mancanti. Ad allontanarsi è stata la parte storica dell’elettorato, e lo dimostra il fatto che nel calo generale l’alternativa a Renzi ha raccolto molto meno consenso rispetto al 2013. Qualcuno ne gioisce, come se fosse una pulizia necessaria a sancire la mutazione antropologica del PD; come se quei voti-volti non fossero sostanziali nel definire l’identità del Partito; come se non rendessero evidente una difficoltà crescente nel dare rappresentanza e voce ad ampie fette di popolazione che sempre più spesso cerca risposte nelle proposte populiste. Sono mancati soprattutto i giovani e questo dovrebbe preoccuparci ancora di più: in chi ripongono le proprie speranze se 1000 giorni fa eravamo noi la speranza? La mia speranza è che dopo la mancata analisi del voto seguita alla sconfitta referendaria dello scorso dicembre si colga ora l’occasione per una riflessione onesta su problemi che non si possono risolvere ogni volta con il fugace entusiasmo di una nuova tornata elettorale.
Se vogliamo continuare a pensare e sperare che questo Congresso possa rappresentare l’inizio di un rilancio dell’azione politica del Partito Democratico, il chi stiamo rappresentando e chi vorremmo rappresentare sono le due domande fondamentali che gli organi devono porsi nelle prossime settimane. La proposta di governo per l’Italia non può prescindere da questa riflessione, perché da questa deriva la definizione delle priorità programmatiche. L’idea della conquista del centro mi lascia perplesso. Innanzitutto perché credo che il voto del 4 dicembre e quello del 30 aprile, se letti assieme, dovrebbero suonare come un appello netto ad un’agenda più “radicale” su molti temi.
Ritengo che l’ideazione e l’attuazione di questa agenda abbia bisogno di un contributo politico ampio e trasversale, da sinistra al centro, con l’unico discrimine di riconoscersi in una proposta governativa responsabile, antipopulista ed europeista. Va in tal senso, a mio parere, praticata una dimensione coalizionale all’interno della quale il PD può giocare un ruolo maggioritario e di equilibrio. Venendo alla dimensione locale, ci attendono sfide importanti. In Trentino la partecipazione alle primarie si è dimezzata, e questo dato deve a mio parere spingerci a cercare con coraggio una nuova identità all’interno della nostra comunità autonoma. Il PDT deve in tal senso costruire uno schema mentale e politico nuovo, evitando di invocare l’omologazione al nazionale in virtù di un risultato – in termini di preferenze - allineato al dato nazionale. Lavorare alla creazione di un partito territoriale non significa allontanarsi dal PD ma anzi dare alla nostra proposta politica una connotazione più coerente con le dinamiche politiche e le esigenze istituzionali del Trentino. I campi di lavoro per costruire una proposta diversa e vincente ci sono. Per primo quello delle idee.
Il PD deve guidare la formazione di un programma di coalizione che nel solco di quanto fatto fin ora dal centrosinistra autonomista, sappia essere innovativo, riformista, progressista, avanzato in senso europeo, capace di determinare un nuovo sviluppo futuro per questa terra. Il secondo è il passaggio delle elezioni politiche; dobbiamo evitare che si trasformi in una mera questione tra segreterie, dando un messaggio di apertura ad una società mai così lontana come oggi dalla politica.
Il Partito Democratico del Trentino deve farsi carico di guidare questo sforzo di apertura e rilancio: non il semplice riempimento di caselle ma la ricerca di figure in grado di rilanciare e rinnovare il senso del rapporto tra politica, Istituzioni e comunità. Infine, l’avvicinamento alle elezioni provinciali dell’autunno 2018. I partiti rinuncino a un pezzo di sovranità in funzione della primazia del progetto politico di coalizione, ed attorno a questo si costruisca ogni passaggio dalla stesura dei programmi, alla formazione delle liste e alla definizione della leadership. È certo un percorso più difficile e faticoso, ma il solo coerente con il nostro recente passato dove attraverso il valore aggiunto della coalizione abbiamo saputo comporre una visione del Trentino convincente prima che vincente.